Fabrizio Di Ernesto

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Venezuela, programma sanitario Barrio Adentro operativo in tutto il paese entro prima metà 2017

Il programma di assistenza sanitaria Barrio Adentro sarà operativo in tutto il Venezuela entro la prima metà del 2017. Lo ha assicurato il primo mandatario di Caracas Nicolas Maduro. Parlando nel corso di una trasmissione televisiva il presidente ha infatti detto che per giugno il programma sarà disponibile anche nelle campagne ancora escluse da questo servizio. Attualmente il programma è operativo in 8 stati, su 23, che compongono il paese indio-latino ed è destinato soprattutto alle fasce più deboli della popolazione.

Nel corso del 2016 il governo, proprio per aiutare le fasce più disagiate, ha aumentato gli stanziamenti a favore della sanità pubblica dell’1,026 per cento.

Il programma Barrio Adentro tende a rafforzare l’amministrazione e la gestione degli ospedali del paese e la distribuzione e la vendita dei farmaci.

Quello delle politiche sociali è un tema molto sentito nel paese, tanto che negli ultimi 12 mesi gli investimenti in materia sono aumentati del 71,4 per cento.

Barrio Adentro è uno dei programmi più importanti creati dall’ex presidente Hugo Chavez e si basa sul diritto fondamentale alla salute tramite l’assistenza medica gratuita e di qualità per tutti i cittadini, sia delle zone rurali sia delle grandi città. Questo programma è strettamente connesso al Cdi, Centro diagnostico integrato che punta a garantire un servizio medico di emergenza attivo 24 ore al giorno.

Avviate oggi forniture di gas russo alla Crimea

Sono state ufficialmente avviate oggi con grande enfasi le forniture di gas dalla Russia alla Crimea, penisola tornata meno di tre anni fa sotto il controllo di Mosca dopo essere stata amministrata per alcuni anni dall’Ucraina.

Il gasdotto è stato inaugurato dal presidente russo Vladimir Putin in videoconferenza.

L’apertura del gasdotto avviene pochi giorni dopo la conclusione dei lavori che hanno permesso di collegare la Russia alla Crimea tramite il sistema dei gasdotti russi.

La conduttura Dzhankoy-Teodosia-Kerch è lunga circa 400 chilometri e, nelle intenzioni dell’amministrazione di Mosca, tramite questa nuova infrastruttura dovrebbe essere soddisfatta senza problemi la fornitura di metano a tutti coloro che vivono in Crimea ed anche a tutte le fabbriche che operano nella penisola.

Parlando del gasdotto il presidente Putin ha detto che questo dovrebbe alimentare la crescita economica della Crimea. La Russia e la Crimea non hanno confini comuni e Mosca ha incontrato più di una difficoltà nella realizzazione di questa infrastruttura, anche per via dei contrasti sorti con l’Ucraina.

Attualmente Mosca è impegnata anche nella realizzazione di una ponte stradale e di uno ferroviario in Crimea dopo averne già completato la rete elettrica. Sebastopoli infatti soffriva di frequenti black out dopo che, nel novembre 2015, era stato sabotato il sistema elettrico che collegava la penisola all’Ucraina.

Gli Usa e i misteri italiani/ Parte III

Sogna l’indipendenza energetica per l’Italia anche il democristiano Aldo Moro che prospetta questa eventualità al segretario di Stato americano Kissinger che ovviamente non gradisce e lo fa capire abbastanza bene al sottoposto.

Moro però commette un altro errore che gli risulterà fatale: vuole aprire le porte del governo al Pci attraverso il famoso compromesso storico.

Il 16 marzo 1978 in Via Fani, a Roma, il presidente della Dc viene rapito, in circostanze quanto meno sospette, dalle Brigate Rosse mentre si stava recando alla Camera per assistere al giuramento del nuovo governo Andreotti che apriva la strada al compromesso storico.

Qualcuno potrà obiettare quale nesso può esserci tra Washington ed un rapimento organizzato, a quanto pare, dalle Br? Prima di rispondere è bene spiegare alcuni dettagli.

In primis portare il Pci nella stanza dei bottoni significava doverlo informare della struttura Gladio, e visti i rapporti tra Botteghe Oscure e Mosca simili informazioni non sarebbero certo passate inosservate.

Secondariamente durante la prigionia il rapito viene costantemente sottoposto ad interrogatorio e non è da escludere che, durante le confessioni, Moro abbia diffuso informazioni troppo scottanti; casualmente, come nella migliore tradizione dei misteri all’italiana già a fine maggio, tre settimane dopo il ritrovamento del corpo esanime del politico, tutta la documentazione relativa al sequestro, a partire dai verbali del Comitato di Crisi magicamente scompare.

Ai tanti misteri che riguardano il sequestro se ne aggiunge poi un altro quello dei verbali degli interrogatori cui veniva sottoposto Moro. La prima bozza ritrovata non conteneva tracce di parole su Gladio mentre nel 1990 a Milano, in Via Montenevoso, in un ex covo delle Br viene ritrovata la fotocopia dell’originale del Memoriale che conteneva circa 30 nuove pagine rispetto alla versione fino a quel momento conosciuta; pagine che in prevalenza contengono dettagliate informazioni su Gladio.

Appare poi doveroso riportare alcune parole rilasciate dalla moglie dell’ex presidente del Consiglio durante una deposizione: “Una figura politica statunitense di alto livello” disse al marito “O lasci perdere la tua linea politica o la pagherai cara”.

Gli Usa e i misteri italiani/ Parte II

 

Per proteggere poi il continente militarmente sorvegliato da una possibile invasione sovietica creano la Nato, alleanza militare a scopo difensivo che non serviva certo a difendere gli interessi delle nazioni occupate ma solo quelli strettamente connessi con gli interessi dei liberatori.

Nel 1948 si svolgono in Italia le elezioni politiche. Gli Usa in campagna elettorale sono chiari: se dovesse vincere la sinistra gli aiuti economici promessi verrebbero immediatamente sospesi.

La Dc, appoggiata anche dalla chiesa, ottiene il 48,51% dei consensi. Il vassallaggio di Roma a Washington quindi si fa sempre più stretto.

Scampato il pericolo di vedere i cosacchi abbeverare i cavalli a Piazza San Pietro, l’anno successivo l’Italia sottoscrive l’atto di nascita della struttura clandestina Duca, in seguito Gladio, che doveva servire a difendere i paesi europei da possibili invasioni sovietiche.

C’è però un aspetto poco chiaro in questo atto. Perché se aveva finalità così nobili la struttura è clandestina? Non sarebbe stato un deterrente ancora migliore far sapere ai nemici rossi che in caso di attacco la risposta sarebbe stata immediata. Viene quasi da pensare che le vere finalità di Gladio fossero altre e perfino, maliziosamente, che gli Usa avrebbero voluto chiudere una volta per tutte la partita con Mosca a spese degli europei.

Nel frattempo la struttura difensiva si evolve e nel 1956 nasce ufficialmente Gladio in base ad un accordo diretto tra la Cia ed il Sifar del generale De Lorenzo, lo stesso personaggio che qualche anno più tardi progettò il Piano Solo per mettere fine all’esperienza dei governi di centrosinistra.

Nell’aprile del 1959 intanto l’Italia aveva aderito allo Shape che sanciva la collaborazione dei servizi segreti dei paesi Nato e l’ampliamento delle varie strutture antiguerriglia denominate Stay Behind. A firmare l’accordo per l’Italia è l’allora ministro della Difesa Giulio Andreotti.

 

 

Gli Usa e i misteri italiani/ Parte I

L’ambiguo e oneroso, per l’Italia, rapporto con i cosiddetti liberatori di Washington ha origini relativamente recenti, almeno per quanto riguarda l’attuale relazione tra paese dominante e semplice colonia che a causa della sua posizione geopolitica rappresenta però un punto fermo nella strategia militar-imperialista a stelle e strisce.

Correva l’anno 1943 e nel mondo si stava combattendo una guerra che aveva coinvolto praticamente tutti i continenti.

All’inizio dell’anno, quelli che poi passeranno alla storia come i buoni, gli Usa, si stanno preparando ad invadere i cattivi, l’Italia fascista, e, per farlo, iniziano ad intavolare collaborazioni e trattative con la mafia siciliana tramite agenti segreti dello Zio Sam precedentemente infiltrati nell’isola. Grazie a questa perversa alleanza tra bene assoluto, la grande democrazia statunitense, e la piaga che da secoli corrompe l’Italia, la mafia, il 9 luglio dello stesso anno i soldati yankee occupano l’isola. Solo un mese dopo il comando militare statunitense insedia mafiosi e massoni come sindaci nel 90 per cento dei comuni in Sicilia.

Alla fine gli anglo americani vinsero la guerra ed occuparono lo Stivale, anche se la propaganda a senso unico degli ultimi sessanta anni ha ormai trasformato quell’invasione in liberazione.

Il 2 giugno 1946 gli italiani si recano alle urne per eleggere l’Assemblea costituente e la forma che il nuovo stato deve avere: repubblicano o monarchico.

Ovviamente la consultazione popolare si svolge in clima da muro contro muro, da una parte i sostenitori di quella monarchia che senza colpo ferire aveva abbandonato la nazione dopo la resa ed il tradimento dell’8 settembre e chi invece osteggiava apertamente  quella famiglia che storicamente aveva sempre iniziato le guerre al fianco di un alleato per finirle puntualmente insieme a quello che all’inizio era stato il nemico.

Al risultato della consultazione sono ovviamente interessati i liberatori con gli Usa che parteggiano per la Repubblica mentre gli inglesi, com’è ovvio, per la monarchia.

Alla fine, tra mille sospetti altrettante ombre e pochissime luci, la spunta per due milioni di voti la Repubblica.

Nel frattempo Usa ed Urss si erano spartite a loro piacimento, ed in modo molto democratico una parte a te una a me, il mondo.

Washington però ha bisogno di puntellare la propria posizione nell’Europa occidentale, specie in Italia e Francia dove sono presenti dei forti partiti comunisti che potrebbero creare problemi. Dopo aver occupato militarmente il Vecchio continente gli Usa decidono di occuparlo anche economicamente e lanciano il Piano Marshall con il quale, di fatto, comprano le nazioni sconfitte con il pretesto di aiutarle nella ricostruzione civile.

Colombia, dal parlamento primo Sì a legge di amnistia

I due rami del parlamento colombiano, Camera e Senato, hanno dato il primo via libera alla legge d amnistia collegata all’accordo di pace con le Forze rivoluzionarie della Colombia – esercito del popolo (Farc-ep). L’amnistia copre i ribelli e i militari accusati di aver commesso reati di minore. I voto finale è ora atteso per la prossima settimana. Subito dopo il primo Sì del parlamento il ministro dell’Interno colombiano, Juan Fernando Cristo ha detto che il via libera definitivo giungerà nel pieno rispetto e nei tempi concordati tra il governo ed il gruppo rivoluzionario.

Nel corso del voto sono state confermate le posizioni dei partiti politici; quelli di governo hanno infatti votato sì mentre le opposizioni hanno ribadito la loro contrarietà.

Nell’ambito degli accordi di pace l’amnistia è stata accordata per fornire una garanzia giuridica ai rivoluzionari che deporranno le armi in merito ai reati minori connessi al loro coinvolgimento nella guerra civile. La legge prevede anche la rinuncia dell’azione penale nei confronti dei miliari pronti a rientrare nei ranghi dell’esercito nazionale.

Imelda Daza, portavoce e leader dell’Unione patriottica, ha detto che il suo movimento e le opposizioni vogliono conoscere il nome dei carnefici non per appenderli in Plaza Bolivar ma per poterli perdonare.

Tra la fine di novembre e l’inizio di dicembre il parlamento di Bogotà ha approvato il nuovo accordo di pace con le Farc.

Il nuovo accordo tra le parti è stato siglato lo scorso 24 novembre dal presidente Juan Manuel Santos e dal comandante delle Farc Rodrigo Londono. L’intesa sostituisce l’accordo bocciato dal referendum dello scorso 2 ottobre e non sarà sottoposto a voto popolare. Il nuovo accordo tra le due parti prevede modiche rispetto a quello respinto considerate però insufficienti dall’opposizione, che ha appoggiato il “no” al referendum del 2 ottobre. Di fatto, il partito di Uribe, Centro Democratico ha definito il meccanismo con il quale sarà varata la nuova intesa un “golpe contro il popolo e la democrazia”, giacché non sarà confermata con un referendum ma appunto solo dal Parlamento, nel quale il governo sa di contare sui voti necessari per il via libera definitivo.

Indicando le prossime tappe previste dopo la luce verde del parlamento, Santos ha ricordato quello che ha definito il “D day”, e cioè il raggruppamento degli ex guerriglieri in alcune aree prefissate, sotto il controllo Onu e l’avvio della consegna delle armi da parte degli ex combattenti Farc.

“In 150 giorni, appena 150 giorni, tutte le armi delle Farc saranno nelle mani delle Nazioni Unite e le Farc quale gruppo armato non esisteranno più”, ha aggiunto il capo dello Stato.

La Bolivia prepara i festeggiamenti per l’anniversario della rivoluzione

Continuano in Bolivia i preparativi per l’anniversario della rivoluzione ovvero della vittoria elettorale di Evo Morales avvenuta il 18 dicembre 2005. Attesi i presidente di quasi il tutto il continente indio-latino. Lo stesso Morales ha confermato oggi che domenica saranno presenti a La Paz il presidente ecuadoregno Rafael Correa e quello venezuelano Nicolas Maduro.

“In occasione delle celebrazioni della nostra rivoluzione del 18 dicembre sarò accompagnato tra gli altri da Maduro e Correa”, ha detto Morales parlando in occasione dell’apertura del IX congresso nazionale del Movimento nazionale socialista (Mas) nella città di Montero nella regione di Santa Cruz.

Per domenica le principali celebrazioni si volgeranno nel villaggio di Ivirgarzama nella regione del Chapare. Nel giorno della rivoluzione culturale in Bolivia si celebra la prima vittoria di Evo Morales ovvero del primo indigeno che è stato eletto alla guida del paese indio-latino.

Prima della vittoria di Morales la Bolivia era il paese più povero della regione.

Nel febbraio del 2002 il Fondo monetario internazionale aveva rinnovato le misure per la riduzione del debito consistenti in un prestito di ben 1,3 miliardi di dollari, il 30% dei quali da cancellare entro il 2015; misure che avevano permesso al Paese andino di prendere una boccata d’ossigeno facendo scendere l’inflazione sotto il 5% e dando segnali positivi anche sul fronte dell’occupazione; tali misure si erano rese necessarie perché nel 2001 il reddito medio annuo per abitante era ancora di 2355 dollari con la crescita del Pil ferma all’uno percento.

All’epoca il paese era sull’orlo del baratro. Il governo aveva infatti deciso di esportare il gas boliviano ad Usa e Messico senza prima effettuare un qualche trattamento nel paese, con evidenti ripercussioni negative sia negli introiti sia per l’occupazione. Ciò aveva provocato un’ondata di scioperi nel paese che aveva poi portato i manifestanti a chiedere l’abrogazione della legge sugli idrocarburi, poiché troppo favorevoli alle grandi multinazionali; a chiedere il rigetto dell’Alca, l’area di libero scambio con le Americhe, progetto fortemente sostenuto dagli Usa; e le dimissioni del presidente Gonzalo Sanchez de Lozada.

Le proteste avevano provocato anche vari disordini, appena cinque giorni dopo le prime manifestazioni infatti reparti speciali dell’esercito si sono scontrati a Warisata, a circa 100 chilometri dalla capitale, con la popolazione che voleva impedire il trasferimento di alcune centinaia di turisti intrappolati dai blocchi stradali. Nell’occasione il bilancio fu di sei morti, di cui cinque civili ed un soldato.

A beneficiare della situazione alla fine fu Carlo D. Mesa Gisbert  che nel 2003 divenne il nuovo presidente del paese. Questi era uno dei giornalisti boliviani più noti che nei suoi articoli e programmi aveva più volte denunciato l’endemica corruzione della sua nazione.

Nel 2000, come indipendente e costantemente critico verso l’assetto dei partiti boliviani, era entrato ufficialmente in politica come consulente del ministero degli Esteri.

Appena eletto formò un inedito governo, nominando nella sua squadra ministri che non appartenevano a nessun partito politico creando, assoluta novità per il paese, un ministero per gli Affari indigeni ed una delegazione presidenziale chiamata ad occuparsi della lotta alla corruzione.

Nel 2005 una nuova crisi, scaturita questa volta dalle proteste contro la nazionalizzazione degli idrocarburi, portò il paese in un nuovo periodo di incertezza e di empasse che portò il presidente Mesa a dimettersi nel tentativo di dare una scossa alla situazione. Per evitare conseguenze peggiori, ad esempio lo scoppio di una guerra civile, Mesa invitò a dimettersi anche il presidente del Senato Hormado Vaca Díez e quello della Camera Mario Cossío. In questo modo la presidenza passò nella mani di Eduardo Rodríguez Veltzé, che in quanto presidente della Corte suprema di giustizia era la quarta carica dello Stato.

Nonostante i tumulti sociali, che avevano provocato veri e propri sconquassi nel quadro politico, la Bolivia di fine 2005 appariva un paese in netta ripresa. Rispetto alle previsioni il deficit statale si assestava infatti al 3,5 ovvero un punto e mezzo meglio delle più rosee previsioni, anche se la disoccupazione era ancora preoccupante, visto che il governo la quantificava nel 9,5% mentre i giornali parlavano del 13.

Era quindi evidente come al paese andino servisse ancora uno sforzo per riuscire a salire sul treno del pieno sviluppo che stava attraversando tutto il continente latino americano.

Incaricato di far compiere al paese andino questo ultimo sforzo di lì a poco sarà chiamato Juan Evo Morales Ayma.

La sua elezione fu osteggiato da molti, anche perché gli equilibri della regione stavano lentamente mutando in senso anti statunitense. Proprio Washington, che in Bolivia possiede la seconda sede per importanza della Cia in America latina, si espose contro Morales per mezzo di dichiarazioni ufficiali ed avvertimenti legati in primis alla politica per le repressione di produzione e commercio delle sostanze stupefacenti. Morales però era quanto mai intenzionato ad evitare scontri con il potente vicino, e da subito si dichiarava pronto a scommette sul dialogo, pur sottolineando: “ma mai avremo relazioni basate su sottomissione o ricatto, subordinazione o paura”.

Tutto pronto a Cuba per celebrare i 12 dell’Alba

È tutto pronto a l’Avana, capitale di Cuba, per celebrare i 12 anni della creazione dell’Alleanza bolivariana per le Americhe (Alba). Tra i presenti ovviamente il presidente venezuelano Nicolas Maduro, successore di Hugo Chavez che ha ideato l’Alba. Il primo mandatario venezuelano è giunto a Cuba dove è stato ricevuto dal ministro degli Esteri cubano Bruno Rodriguez.

L’Alba è stata creata ufficialmente il 14 dicembre 2004 per dar vita ad una zona di libero scambio delle Americhe alternativa rispetto a quella egemonizzata dagli Usa che secondo Chavez aveva contribuito ad aggravare la povertà della regione in favore delle multinazionali e del mercato. Chavez aveva iniziato a parlare di Alba nel 2001 nel corso del vertice dei capi di Stato e di governo dell’Associazione degli Stati dei Caraibi. Il primo a firmare la Dichiarazione congiunta per la sua istituzione è stato però il preisidente cubano Fidel Castro, morto poco più di due settimane fa.

Nel 2006 ha aderito all’Alba la Bolivia e sono stati sottoscritti i Trattati di commercio dei popoli (Tcp) per uno scambio solidale e complementare a beneficio del popolo.

Dalla sua istituzione sono stati svolti 13 vertici e i paesi membri, attualmente 8, hanno beneficiato di iniziative in favore dello sviluppo sociale dei paesi.

L’Alba ha anche contribuito al lancio della Petrocaribe che permette ai suoi membri di acquistare petrolio a condizioni particolari, specialmente Cuba sottoposta ad embargo da parte degli Usa che ha sempre avuto una grande necessità di greggio e gas.

Nel 2008 i membri dell’Alba hanno creato una moneta virtuale regionale, il Sucre, che viene utilizzato negli scambi tra i paesi membri.

Morales: L’imperialismo ha fallito nel suo progetto politico ed economico

L’imperialismo ha fallito nel suo progetto politico ed economico. Ne è convinto il presidente della Bolivia Evo Morales che ha anche criticato ferocemente le politiche di intervento su base capitalistica in diversi paesi degli Stati uniti.

Incontrando gli ambasciatori a La Paz il presidente Morales ha poi aggiunto che il capitalismo non rappresenta minimamente un progetto per l’umanità e che l’imperialismo ha fallito nelle sue politiche economiche.

“Ho la sensazione – ha spiegato Morales – che l’imperialismo abbiano perso il loro progetto politico ed economico”, facendo più di un riferimento agli Stati uniti”.
Il primo cittadino boliviano si soffermato a commemorare la figura di Fidel Castro, morto un paio di settimane fa, dicendo: “Fidel non è morto perché le idee non muoiono”.

Riprendendo poi la critica all’imperialismo Morales ha spiegato che l’intervento militare degli Usa in Medio Oriente, mirante esclusivamente al controllo delle risorse naturali, ha portato alla destabilizzazione e nulla più.
Morales si è poi soffermato sul suo paese spiegando che nonostante la crisi internazionale ed il calo del prezzo del petrolio la Bolivia sta reggendo bene tanto che le agenzie internazionali concordano sul fatto il paese sarà il primo per crescita economica nella regione indio-latina nei prossimi anni.

Per quanto riguarda la grande siccità che ha colpito la Bolivia il primo mandatario ha sottolineato che “nonostante una grave siccità, i prezzi dei prodotti alimentari di base non sono aumentati, grazie ai programmi di irrigazione attuati dal governo”.

Con la pianificazione e gli investimenti è possibile risolvere i problemi del paese, ha poi concluso.

Cuba e Ue firmano accordo bilaterale

Cuba e l’Unione europea hanno firmato oggi il primo accordo bilaterale tra le parti.

In base all’accordo sottoscritto i rapporti tra i 27 paesi Ue, più la Gran Bretagna che però a breve dovrebbe avviare la procedure per uscire dall’Unione, e l’Avana saranno improntati sul rispetto reciproco e l’uguaglianza.

L’accordo è stato sottoscritto dal ministro degli Esteri cubano, Bruno Rodriguez, e dall’Alto rappresentante dell’Ue per la politica estera, l’italiana Federica Mogherini, a Bruxelles.

Nel corso della cerimonia che ha portato alla firma dello storico accordo la Mogherini ha detto: “Per la prima volta la Ue e Cuba hanno un quadro formale per le relazioni bilaterali. Si tratta del risultato di un lungo processo. I legami tra Ue e Cuba sono profondi, in primo luogo quelli tra i nostri popoli”. Sempre la Mogherini ha poi sottolineato che “la Ue ha sollevato preoccupazioni per gli effetti extraterritoriali delle sanzioni degli Usa su Cuba. Continueremo a farlo, nell’interesse non solo dell’isola e della sua popolazione, ma soprattutto degli europei”.

La politica italiana ha poi spiegato che l’avvento di Donald Trump alla Casa Bianca, chiamato a succedere al presidente uscente Barack Obama non influirà sui rapporti tra Bruxelles e l’Avana.

“L’accordo firmato oggi – ha concluso la Mogherini – è il messaggio dell’impegno a lavorare con Cuba. Questo include le imprese, il settore degli investimenti, la scienza, la tecnologia, l’educazione, la cultura, il turismo, ma anche il lavoro comune su temi globali di fronte a noi, come l’immigrazione, il cambiamento climatico, gli obiettivi di sviluppo sostenibile”.

Da parte sua il rappresentante di Cuba ha spiegato che l’accordo “contribuirà sicuramente a sviluppare ulteriormente la cooperazione politica, sociale, finanziare e accademica tra le parti”

La stesura del testo, che dovrò ora essere ratificato da tutti i 28 paesi dell’Ue, è iniziata nell’aprile del 2014.

Per Cuba che da alcuni anni sta normalizzando le sue relazioni diplomatiche con tutti i paesi del mondo si tratta di un grande risultato a livello diplomatico che giunge a poco più di due settimane dalla morte del leader maximo Fidel Castro. Dopo anni di embargo imposto dagli Usa l’Avana può quindi ora provare a rilanciare la propria economia anche se la ricetta neoliberista della Ue non appare la più indicata.