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India e Brasile rafforzano relazioni bilaterali
Il primo ministro indiano Narendra Modi e il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva hanno concordato di rafforzare le loro relazioni bilaterali. La decisione è giunta nel primo incontro tra i due avvenuto a margine del G7 che si è svolto nella città giapponese di Hiroshima.
I due che hanno presenziato in qualità di ospiti al vertice nipponico hanno analizzato i rapporti in corso tra i due paesi e deciso di puntellare e rafforzare la collaborazione bilaterale, studiando i modi per farlo principalmente nei settori della produzione della difesa, del commercio, dei prodotti farmaceutici, dell’agricoltura, dei prodotti lattiero-caseari e dell’allevamento, nonché dei biocarburanti e dell’energia pulita.
Modi ha ricordato come Brasilia e Nuova Delhi pur essendo due paesi neutrali in merito al conflitto russo-ucraino siano interessati a mantenere la pace nel mondo, sottolineando la volontà del suo paese a lavorare con il Brasile nella ricerca di una soluzione pacifica al conflitto. Posizione confermata dal primo mandatario carioca che dopo l’incontro ha twittato “siamo dalla parte della pace”. A differenza dei paesi membri del G7, India e Brasile sono infatti rimasti neutrali, senza avallare sanzioni contro la Russia.
Tra gli argomenti discussi anche il commercio bilaterale tra quello che, come asserito da Lula, sono “paesi di massima importanza per il disegno di una nuova geopolitica globale”. L’India è il quinto partner commerciale del Brasile. Nel 2021 il commercio tra i due Paesi ha raggiunto il risultato più alto della storia: 15,1 miliardi di dollari. Nello stesso anno, il Brasile ha esportato più di 6 miliardi di dollari in India e ha importato prodotti indiani per un valore di 8,8 miliardi di dollari.
Mercosur: Argentina si ritira da trattative su nuova area di scambio
Con una decisione a sorpresa l’Argentina ha deciso di ritirarsi dalle trattative che il Mercosur stava portando avanti con la Corea del Sud, Canada, India e Libano per creare una nuova area di libero scambio. Buenos Aires ha motivato la decisione con il timore di una invasione di prodotti stranieri nel proprio mercato.
La decisione delle autorità argentine non incide però sui negoziati già conclusi con l’Unione europea e con l’Associazione europea di Free Trade, questo quanto riferisce una nota diffusa dall’organizzazione.
Secondo l’Argentina una volta conclusi i negoziati sarebbero giunti sul mercato interno beni concorrenziali rispetto a quelli fabbricati dalle industrie locali, una situazione, che anche in considerazione dell’emergenza Coronavirus, renderebbe ancora più difficile la situazione del paese.
Venerdì scorso, il segretario per le relazioni economiche internazionali argentine, Jorge Neme, ha tenuto una videoconferenza con i rappresentanti di Brasile, Uruguay e Paraguay ed ha espresso la contrarietà del suo paese a proseguire i negoziati.
Commentando la notizia la stampa locale ha sottolineato come il presidente argentino, Alberto Fernndez, abbia esercitato questa scelta contestando la scelta del brasiliano Jair Bolsonaro, del paraguaiano Mario Abdo Bentez e dell’uruguagio Luis Alberto Lacalle Pou di chiudere i negoziati con i paesi interessati.
Iran: settore petrolifero sempre più penalizzato da sanzioni statunitensi
Le sanzioni statunitensi tornano a penalizzare il settore petrolifero iraniano. Il dipartimento di Stato Usa ha infatti riferito che tre degli otto paesi, Giappone, Cina, India, Corea del Sud, Italia, Grecia, Turchia e Taiwan, esentati dall’applicazione delle sanzioni varate nel novembre scorso hanno ugualmente azzerato le importazioni di greggio. Non sono stati resi noti i tre paesi ma considerando l’attuale situazione geopolitica si può ipotizzare che questi siano Giappone, Corea del Sud e Taiwan; con loro sale così a 23 il numero dei paesi che hanno scelto di azzerare le importazioni di petrolio iraniano, secondo Brian Hook, rappresentante speciale statunitense per l’Iran.
“Grazie ai nostri sforzi, il regime (iraniano) ora dispone di minori risorse economiche da destinare al sostegno al terrorismo, alla proliferazione balistica, e alla sua lunga lista di forze interposte”, ha dichiarato Hook. “Con i prezzi del petrolio inferiori a quando abbiamo annunciato le sanzioni, e la produzione globale di petrolio stabile, siamo in corsa verso l’azzeramento di tutti gli acquisti (internazionali) di petrolio greggio iraniano”, ha aggiunto il funzionario Usa.
Fra un mese, il 2 maggio, scadranno queste sanzioni ma gli Usa ancora non hanno fatto sapere se saranno prorogate o meno, anche se secondo alcune indiscrezioni Trump potrebbe rinnovarle sia per penalizzare Cina e India che sono i principali acquirenti del greggio iraniano sia per contenere l’aumento dei prezzi internazionali del petrolio.
India acquisterà sistema antiareo russo Triumf S-400
L’India è vicina all’acquisto del sistema d’arma antiaereo di fabbricazione russa Triumf S-400. Il Consiglio per le acquisizioni della difesa (Dac) dell’India, riunitosi sotto la presidenza del ministro, Nirmala Sitharaman, ha infatti dato la prima approvazione, con “minime variazioni”, alla compravendita, secondo quanto riferito dalla stampa di Nuova Delhi. Da quanto trapelato il valore dell’accordo sarebbe vicino ai 400 miliardi di rupie, circa 5 miliardi di euro.
Poche settimane fa Sitharaman aveva annunciato che le trattative erano entrate nella fase finale.
L’accordo indio-russo sul sistema Trumf risale al 2016. Con questi missili terra-aria a lungo raggio Nuova Delhi punta soprattutto a rafforzare la difesa lungo il confine con la Cina, che si estende per quasi quattromila chilometri. Pechino, a sua volta, ha già concluso nel 2014 un’intesa tra governi con Mosca per lo stesso sistema missilistico e ha già ricevuto le prime consegne. L’S-400 è considerato il più avanzato sistema d’arma antiaereo russo; è una versione aggiornata dell’S-300 systems. Prodotto da Almaz-Antey, è usato dalla Difesa della Russia dal 2007.
Tra il 2012 e il 2016, secondo lo Stockholm International Peace Research Institute (Sipri), la Russia ha fornito il 68 per cento delle armi importate dall’India. Dagli anni Sessanta Mosca è il più grande fornitore di Nuova Delhi, alla quale ha venduto armi per un valore di 65 miliardi di dollari. Dal 2007 gli Stati Uniti hanno conquistato una consistente fetta del mercato indiano con vendite per 15 miliardi di dollari. L’India sta cercando di diversificare le importazioni dalla Russia, a causa dei ritardi nelle forniture, dell’aumento dei costi in corso d’opera e della resistenza al trasferimento tecnologico; tuttavia, deve mantenere un ampio arsenale di armi di produzione russa e le sanzioni statunitensi possono essere di ostacolo.
L’S-400 è stato progettato come sistema d’arma capace di intercettare e colpire aerei da guerra e missili balistici e da crociera che volano a una velocità fino a 4,8 km/s (17.000 km/h). Il sistema può individuare fino a 36 obiettivi contemporaneamente (80 nelle nuove versioni) in un raggio che va da 30 a 400 km in base al tipo di missile utilizzato (quest’ultima distanza viene raggiunta con il missile 40N6 con compiti ABM e anti Awacs.
India si conferma primo importatore di armi al mondo
L’India si conferma il primo importatore di armi al mondo; nel periodo comprese tra il 2013 ed il 2017 un’arma su 8, il 12%, è stata infatti venduta ed importata a Nuova Delhi e dintorni. Lo riferisce l’annuale rapproto del Sipri, Stockholm International Peace Research Institute.
A dominare le prime posizioni di questa classifica il medio oriente, tanto che dopo l’India vengono nell’ordine l’Arabia Saudita, l’Egitto, gli Emirati Arabi Uniti, la Cina, l’Australia, l’Algeria, l’Iraq, il Pakistan e l’Indonesia.
L’India ha acquistato armi principlamente dalla Russia, il 62%, gli Usa, il 15%, e Israele, l’11%.
Per quanto riguarda i principali esportatori di armi curioso segnalare che tra i primi 5 figurano, ad eccezione della Gran Bretagan, tutti i membri del Consiglio di sicurezza dell’Onu oltre alla Germania.
Il sottosegretario alla Difesa indiana, Subhash Bhamre, nei giorni scorsi, rispondendo per iscritto a interrogazioni parlamentari, ha comunicato che la spesa per la difesa, escludendo la previdenza, è passata dall’anno fiscale 2014-15 all’esercizio 2017-18 da circa 2.246 miliardi di rupie (28 miliardi di euro) a 2.790 miliardi di rupie (34,8 miliardi di euro), scendendo dal 2,1 all’1,66 per cento del prodotto interno lordo; includendo le pensioni, l’importo è salito da 2.851 miliardi di rupie (35,6 miliardi di euro) a circa 3.740 miliardi di rupie (46,7 miliardi di euro), con un calo in termini di Pil dal 2,7 al 2,2 per cento.
Difesa, spesa in aumento in Italia dell’11 per cento. Crescita anche a livello globale
La crescita per la spesa militare in Italia è aumentata dell’11 per cento tra il 2015 ed il 2016, confermando un trend globale. Lo riferisce l’annuale rapporto del Sipri, Stockholm International Peace Research Institute (Sipri). L’aumento italiano è però di circa 5 volte superiore a quello degli altri paesi europei dove la crescita si attesta intorno al 2,5.
Secondo l’istituto svedese a livello mondiale le spese militari sono aumentate lo scorso anno di 1686 miliardi. Spese in aumento praticamente in tutti i continenti ad eccezione dell’America centrale, di quella caraibica e del Medio oriente, anche se l’istituto non ha avuto a disposizione i dati di tutti i paesi di quest’area.
Gli Stati Uniti rimangono il paese con le spese militari più elevate a livello annuale al mondo, con una crescita dell’1,7 per cento tra il 2015 e il 2016 attestandosi a 611 miliardi di dollari. Dopo gli Usa la Cina, dove la spesa militare è aumentata del 5,4 per cento, toccando i 215 miliardi di dollari, un tasso di crescita notevolmente inferiore rispetto agli anni scorsi.
La Russia ha aumentato le spese del 5,9 per cento lo scorso, raggiungendo una quota pari a 69,2 miliardi di dollari, e diventando il terzo paese in termini di fondi investiti nel settore. Mosca ha superato l’Arabia saudita che ha diminuite le proprie spese militari del 30 per cento.
L’India ha aumentato la propria spesa militare dell’8,5.
Tra i paesi che hanno diminuito le spese militari si segnalano il Venezuela, che le ha ridotte del 56 per cento, e l’Iraq, dove il calo è stato del 36 per cento; più contenute le diminuzioni in Angola, Messico e Perù.
L’India corteggia le imprese giapponesi
Nonostante i gravi problemi civili e sociali del paese l’India vuole accrescere il suo peso all’interno dell’economia globale, tanto che ora sogna di fare le scarpe al Giappone, o quanto meno portargli via le aziende migliori.
In un recente summit tra Nuova Delhi e Tokyo il premier indiano Narendra Modi ha infatti apertamente invitato le imprese nipponico a venire ad investire nel suo paese promettendo un trattamento di favore, soprattutto per quanto riguarda l’aspetto burocratico della gestione d’impresa. Nei cinque giorni trascorsi in Giappone il politico indiano ha infatti definito la sua nazione “la migliore destinazione possibile per gli investitori” snocciolando i dati su un paese in continua crescita, perfino migliori rispetto alle già rosee attese, ed il grande mercato interno enunciando la politica delle tre D: democrazia, demografia e domanda.
Le parole di Modi hanno colpito nel segno tanto che al suo ritorno aveva già da esaminare un nutrito pacchetto di progetti di investimento del valore di svariati miliardi di dollari.
I due paesi, anche grazie al rapporto di stima ed amicizia tra Modi e Abe, sono da tempo legati in numerose cooperazioni con l’India che sta sfruttando le possibilità offerte da questa relazione per vincere la piaga della povertà diffusa nel suo paese, anche se la strada appare ancora in salita. Certo, i due paesi presentano caratteristiche che li situano ai due poli opposti: tanto l’India ha città caotiche, economia emergente e popolazione giovane, quanto il Giappone presenta città immacolate, popolazione sempre più vecchia e un’economia matura. Ma quando si tratta di fare affari e far crescere l’economia questi sono tutti dettagli trascurabili.
L’unico freno a questa intesa potrebbero essere i rapporti commerciali in essere tra Nuova Delhi e Pechino, soprattutto alla luce dei contrasti politici tra Cina e Giappone, ma la storia recente ci insegna che quando ci sono in ballo interessi economici tutto passa in secondo piano.
Armi: il made in Italy che non conosce crisi
Quello delle armi si conferma uno dei settori trainanti dell’export italiano, tanto che lo scorso anno sono arrivati nel nostro paese oltre 316 milioni di euro, poco più del 2012, ma con aumenti significativi per ciò che concerne le vendite ai paesi della regione mediorientale, con un aumento di quasi il 25%, e a quelli africani, qui il giro d’affari è cresciuto del 36%; proprio queste due regioni hanno permesso alla principale industria tricolore del settore di limitare le perdite derivanti dal crollo delle esportazioni verso i paesi asiatici, con una contrazione del 58%, e di quei paesi europei non ancora inseriti nella Ue, su tutti la Turchia dove gli acquisti bellici sono calati del 25%. Nonostante ciò però Ankara, insieme agli Usa ed all’Inghilterra rimane tra i principali importatori di armi italiane.
Da segnalare che a giovare di maggiori importazioni belliche sono stati paesi come l’Egitto, impegnato in una cruenta guerra civile, ed il Libano che, sottoposto ad embargo in materia, non potrebbe acquistarne e che invece anche lo scorso anno, senza trovare evidentemente ostacoli, solo dal nostro paese ha potuto far arrivare armi e munizioni per due milioni di euro. In riferimento al paese nord africano il fatto è ancora più sorprendente se si considera che dallo scorso agosto, in seguito alle proteste di varie associazioni, l’ex ministro degli Esteri Emma Bonino ha deciso di bloccare le esportazioni di armi verso Il Cairo. Secondo i dati forniti dall’Istat in circa sette mesi il commercio di armi e munizioni con l’Egitto ha fruttato comunque oltre 4 milioni di euro.
Gli Usa sono sempre i primi acquirenti di armi made in Italy, lo scorso anno hanno comprato mezzi e munizioni per oltre 130 milioni di euro, ciò nonostante dopo la strage nella scuola di Newtown siano entrate in vigore oltre 100 nuove leggi restrittive sul possesso di armi.
Come anticipato sopra, un vero e proprio crollo si è registrato nelle esportazioni belliche verso l’India, tra le cause ipotizzabili il lungo tira e molla con le autorità locali per via della vicenda legata alla detenzione dei due marò. Se Nuova Delhi nel 2012 aveva importato armi nostrane per oltre 10 milioni di euro lo scorso anno sono stati fatto acquisti, munizioni comprese, per appena 600mila euro, anche se nonostante gli attriti tra i due paesi vedrà comunque il principale gruppo italiano impegnato nella nuova gara per la fornitura di fucili d’assalto all’esercito indiano.
Quello delle armi rimane un settore in cui l’export non conosce crisi.