Fabrizio Di Ernesto

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Energia, al via in Bolivia costruzione nuovo impianto di biodiesel

Il primo mandatario della Bolivia, Luis Arce Catacora, ha posto la prima pietra nella costruzione del nuovo impianto di biodiesel denominato Héroes de Senkata, situato nel distretto 8 della città di El Alto. Alla cerimonia hanno preso parte diverse autorità nazionali e dipartimentali e rappresentanti di organizzazioni sociali.

L’opera ha un valore di quasi 280 milioni di bolivianos, circa 40 milioni di dollari.

“Abbiamo avviato il progetto “Heroes de Senkata” come tributo alla vostra lotta in difesa delle nostre risorse naturali e della democrazia”, ha scritto Arce sul profilo Twitter.

A realizzare i lavori sarà la YPFB Refinación, e la durata degli stessi è fissata in circa un anno; obiettivo dei questa opera quello di ridurre l’importazione di liquidi e il consumo di combustibili fossili.

Secondo le previsioni una volta a regime l’impianto genererà 500 posti di lavoro diretti e altri 800 nell’indotto. Inoltre, saranno prodotti circa 1.500 barili di biodiesel al giorno.

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Rappresentanza Ue parteciperà a vertice Celac

Una rappresentanza dell’Unione europea parteciperà al vertice della Comunità degli Stati latinoamericani e dei Caraibi (Celac), che si aprirà domani, martedì 24 gennaio, a Buenos Aires. Nell’ottica di Bruxelles questa potrebbe essere una nuova occasione per potenziare l’agenda tra le due regioni su energia, ambiente e consolidamento democratico.

Al summit parteciperà infatti anche il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, presenza che segue a poca distanza la visita dell’Alto rappresentante Ue Josep Borrell dell’ottobre scorso alla riunione dei ministri degli Esteri della Celac.   

Attualmente, come ricordato da Borrell, “l’Ue è la terza destinazione delle esportazioni latinoamericane e principale investitore nella regione, con accordi politici e commerciali con 27 dei 33 Paesi dell’area. Una regione a cui l’Europa deve dare l’attenzione strategica che merita”, con cui cooperare su temi globali come le questioni alimentare, energetica, la sicurezza e l’ambiente. Una partnership, che sempre per Borrell può contribuire “a rafforzare l’autonomia strategica di entrambe le regioni e a forgiare un’alternativa al sistema internazionale basato sulla rivalità tra Cina e Stati Uniti”.   

Negli equilibri tra Europa ed America indiolatina la rielezione di Luiz Inacio Lula da Silva (Pt) in Brasile, potrebbe essere un vantaggio; il primo mandatario brasiliano infatti spinge per una politica di salvaguardia comune dell’Amazzonia che coinvolga le otto nazioni sudamericane che condividono la responsabilità  di preservare il cosiddetto polmone del mondo (Bolivia, Colombia, Ecuador, Perù , Venezuela, Guyana, Guyana francese e Suriname), un aspetto che sta a cuore anche a Bruxelles. Anche in termini di approvvigionamento energetico l’America Latina ha molto da offrire. In particolare l’Europa è interessata sia alle potenzialità di approvvigionamento del vertiginoso sviluppo del bacino non convenzionale di Vaca Muerta, nella Patagonia argentina (seconda riserva di shale gas al mondo), sia alla possibilità di riaprire i canali delle forniture di petrolio dal Venezuela. Nel caso di Vaca Muerta l’obiettivo è quello di favorire lo sviluppo delle costose infrastrutture necessarie al trasporto oltreoceano del gas patagonico sotto forma di gnl (gas naturale liquefatto). Nel caso del Venezuela, il tema dell’energia si intreccia invece con quello dello stato di diritto, col sostegno Ue al processo di dialogo tra governo e opposizione attraverso il cosiddetto Gruppo di contatto.

Argentina, ribadita importanza gasdotto Néstor Kirchner

Il primo mandatario argentino Alberto Fernández, ha sottolineato giovedì l’importanza del gasdotto President Néstor Kirchner situato nella città di Doblas, nella regione della Pampa.

“Si tratta – ha spiegato – di un’opera centrale per il futuro dell’Argentina che ci garantirà di avere il gas che abbiamo dovuto importare per tutto questo tempo, perdendo valuta estera e risorse che possiamo utilizzare nella produzione e nel lavoro, che è ciò che conta di più per noi”.

Fernández ha parlato in occasione dell’avvio di un impianto di saldatura automatizzata di ultima generazione, utilizzato per la prima volta nel paese indiolatino, un sistema che, secondo gli esperti, alle imprese impegnate in questo progetto di raggiungere i livelli di produttività necessari per rispettare le tempistiche.

Il presidente ha anche ricordato l’importanza dell’investimento effettuato dagli imprenditori argentini per introdurre questa tecnologia in vista del suo completamento entro la metà del 2023, e permettere al gasdotto di continuare il suo percorso fino a Santa Fe da dove il gas sarà portato nel nord del paese ed anche in Brasile. Questo strumento, importato dagli Usa un livello produttivo e qualitativo costante e sarà utilizzato nelle sezioni uno e due del progetto, la più estesa; nello specifico si tratta del principale progetto energetico commissionato in Argentina negli ultimi 40 anni e amplierà la capacità del sistema di trasporto del gas naturale del 25%. Con un’estensione totale di 573 chilometri, farà risparmiare più di 2,9 milioni di dollari ogni anno e garantirà 10milaposti di lavoro diretti e altri 40mila per l’indotto tra la costruzione e l’aumento della produzione.

Brasile: ex presidente Lula contro vendita Eletrobras

Il leader del Partito dei Lavoratori (PT) ed ex presidente del Brasile, Luiz Inácio Lula da Silva, ha riaffermato la sua opposizione alla privatizzazione della più grande compagnia elettrica del Paese e della regione: la Eletrobras.

L’ex Capo di Stato ha spiegato che vendere questa azienda ad un prezzo inferiore del 50% a quello che è il suo valore reale potrebbe generare una stagnazione dello sviluppo industriale del Paese sudamericano e portare anche a tariffe elettriche elevate nel Paese. Inoltre, con la privatizzazione si “eliminerebbe un bene statale a beneficio del popolo brasiliano” ricordando che all’inizio della costruzione della società sono stati investiti oltre 20miliardi di reais (3.995 milioni di dollari) a beneficio di 15 milioni di persone. Ricordando anche che secondo diversi studi la compagnia elettrica si è classificata all’ottavo posto nell’elenco delle società che hanno contribuito maggiormente al reddito del Paese nell’ultimo 2020

“Il Partito si appellerà alla Corte Federale per impedire il processo di privatizzazione, perché questo è un reato contro il Paese” ha sottolineato il presidente nazionale del PT, Gleisi Hoffmann.

Il provvedimento che rende possibile la vendita di Eletrobras è stato approvato dall’attuale presidente brasiliano, Jair Bolsonaro, nel luglio dello scorso anno, al fine di porre fine al controllo statale della società e ottenere una stima di 100miliardi di reais (1.998. 162 dollari) a beneficio del bilancio pubblico.

Breve storia del nucleare italiano

Il rapporto tra l’Italia ed il nucleare inizia nel 1955 quando all’indomani della conferenza “Atomi per la pace” di Ginevra il nostro paese decide di investire in questa nuova tecnologia ed arriva ad avere sul proprio territorio tre impianti di prima generazione basati sulle tre più innovative tecnologie dell’epoca: i reattori di tipo BWR e PWR di origine statunitense e quello di tipo Magnox di origine britannica.

Il programma italiano è ambizioso ma porta anche a risultati molto importanti: nel 1966 infatti il nostro paese è il terzo produttore al mondo di energia nucleare dopo gli Usa e l’Inghilterra.

La prima centrale elettronucleare italiana venne realizzata a Latina, la costruzione fu ultimata nel maggio del 1963; otto mesi più tardi fu approntata quella di Sessa Aurunca, in provincia di Caserta, e nel 1965 quella di Trino, nel vercellese. Nel 1970 iniziò la costruzione di quella di Caorso, nel piacentino.

Nel 1975 avvenne il varo del primo Piano Energetico Nazionale (PEN) che prevedeva, fra le altre cose, un forte sviluppo della componente elettronucleare. All’inizio degli anni 80’, per la precisione nel 1982, iniziò la costruzione della centrale di Montalto di Castro, nel viterbese; inoltre fu pianificata una seconda centrale a Trino, la prima basata sull’allora nascente “Progetto Unificato Nucleare”, con due reattori nucleari ad acqua pressurizzata PWR da 950 MW di potenza elettrica netta ciascuno.

Dopo l’entusiasmo degli anni ’70 il progetto del nucleare italiano inizia a subire un brusco rallentamento. Nel 1982 l’impianto di Sessa Aurunca viene fermato per un guasto e, a seguito di valutazioni sull’antieconomicità delle riparazioni, viene spento anche se sarà l’incidente di Cernobyl, 1986, a fermare il programma italiano.

Nel 1987 infatti tre referendum portano gli italiani a dire no a questo tipo di energia anche se i quesiti in oggetto non vietavano in modo esplicito la costruzione di nuove centrali, né imponevano la chiusura di quelle esistenti o in fase di realizzazione, ma si limitavano ad abrogare i cosiddetti “oneri compensativi” spettanti agli enti locali e la norma che concedeva al Cipe, il potere di scelta dei siti anche se in accordo con i comuni interessati. Sull’onda emotiva però l’Italia decide di abbandonare il Progetto unificato nucleare.

Sarà poi il IV governo Berlusconi tra il 2005 ed il 2008 a tentare il rilancio del nucleare nel nostro paese ma un nuovo referendum, svoltosi nel 2011 appena tre mesi dopo l’incidente di Fukushima, conferma la contrarietà degli italiani a questo tipo di tecnologia.

Forti della decisione della Commissione europea ora il centrodestra, in primis il leghista Matteo Salvini, è tornata a ventilare la possibilità di rilanciare il nucleare nel nostro paese.

Una questione annosa: la gestione delle scorie nucleari

La creazione di energia nucleare ha come conseguenza la produzione di tutta una serie di scorie di cui non è previsto il riutilizzo. I rifiuti nucleari infatti emettendo radioattività, devono essere gestiti in maniera adeguata per evitare rischi per l’uomo e per l’ambiente. Esistono diverse categorie di rifiuti radioattivi, alle quali corrispondono diverse modalità di gestione, in base alla concentrazione di radionuclidi e del tempo in cui la radioattività decade.

In Italia, nonostante le poche centrali esistenti siano ormai dismesse da anni ancora non si è riusciti a trovare una soluzione soddisfacente a questo problema.

Nel nostro paese i rifiuti radioattivi finora prodotti sono custoditi in depositi temporanei che ne consentono la gestione in sicurezza e l’isolamento dall’ambiente. Tali rifiuti provengono dal pregresso esercizio e dallo smantellamento degli impianti nucleari ma anche dalle attività nel campo sanitario, industriale e della ricerca.

Il nostro paese attualmente ha poco meno di 100mila metri cubi di rifiuti da smaltire ma ancora non è stata individuata l’area visto che tutti i comuni coinvolti nel progetto preferiscono declinare.

Secondo la Sogin, la società pubblica incaricata dello smaltimento dei rifiuti per realizzare il Deposito Nazionale e il Parco Tecnologico, è previsto un investimento complessivo di circa 900 milioni di euro; sono necessari quattro anni per la sua realizzazione e, in base agli attuali piani, la sua entrata in esercizio dovrebbe avvenire entro il 2029.

I depositi sono di due tipi: di superficie o di profondità.

Quello di superficie è una struttura realizzata a livello del terreno o fino ad alcuni metri di profondità, al fine di provvedere alla sistemazione definitiva dei rifiuti radioattivi a bassa e media attività. Quello che sarà realizzato in Italia sarà di questo tipo. Attualmente quelli operativi in Europa sono quelli di el Cabril (Spagna), l’Aube (Francia), Dukovaný (Repubblica Ceca), Mochovce (Slovacchia) e quello di Drigg (Regno Unito). Altri due, in fase di realizzazione, sono quelli di Dessel (Belgio) e di Vrbina (Slovenia). Il deposito geologico di profondità è invece una struttura per la sistemazione definitiva dei rifiuti radioattivi a media e alta attività, realizzata nel sottosuolo a notevole profondità (di solito diverse centinaia di metri), in una formazione geologica stabile (argille, graniti, salgemma). Questo consente l’isolamento dei radionuclidi dall’ambiente per periodi molto lunghi (fino a centinaia di migliaia di anni). L’unico operativo di questo tipo è il WIPP (Waste Isolation Pilot Plant) a Carlsbad (New Mexico – USA). In Europa Svezia, Finlandia e Francia hanno già individuato il sito mentre Germania, Regno Unito, Repubblica Ceca, Svizzera e Ungheria hanno già avviato il processo di localizzazione.

Tra cyber terrorismo e minacce convenzionali la sicurezza delle centrali nucleari è un tema delicato

Una delle grandi preoccupazioni che da sempre ha accompagnato il nucleare è quella legata alla sicurezza ed ai rischi a questa connessa. I due grandi incidenti del passato, Cernobyl nel 1986 e Fukushima nel 2011, da questo punto di vista rappresentano un monito perenne anche se negli ultimi anni sono aumentati anche i rischi legati a possibili attacchi terroristici, sia tradizionali sia legati al mondo cyber dato il sempre maggior utilizzo delle Intelligenze artificiali (AI) in questi impianti.

Le centrali nucleari vengono identificati come gli stabilimenti più sensibili dal punto di vista della sicurezza, classificati dalle normative nazionali come IC, mentre a livello sovrannazionale come infrastrutture critiche internazionali (ICI).

Ovviamente sono diversi i livelli di sicurezza impegnati in una centrale che coprono sia l’eventuale errore umano sia l’attacco esterno anche se va detto che proprio per ragioni di sicurezza la quantità di combustibile fissile presente in ogni momento in un reattore non è sufficiente ad autosostenere un’esplosione nucleare; anche nel caso si verificasse lo scenario peggiore, ovvero fusione del nocciolo con relativa esplosione attualmente la maggior parte delle centrali nucleari possiede un sistema di contenimento esterno, un enorme cupola di cemento, che impedirebbe la fuoriuscita di sostanze radioattive in pratica la soluzione adottata a Cernobyl con il tristemente famoso sarcofago.

Negli ultimi anni inoltre è aumentata sempre di più l’attenzione verso eventuali attacchi cyber tanto che il complesso insieme dei sistemi logici che assicurano il sicuro funzionamento di una centrale nucleare, devono appartenere a un sistema di tipo chiuso separato dal mondo web, utilizzando specifici dispositivi hardware di isolamento.

Altra difesa chiave, quale contrasto alle cosiddette minacce interne, è rappresentata dal severo controllo sull’uso dei device portatili (smartphone, tablet, notebook), utilizzati per interfacciarsi con le apparecchiature operanti all’interno dei siti atomici. Per fare un esempio riguardo i rischi connessi alla rete basti pensare che nel 2003 la centrale di David-Besse protetta da firewall è stata infettata dal virus Slammer introdotto nel sistema tramite il computer di un fornitore connesso attraverso un modem che ha permesso di violare la rete interna.

Per quanto concerne invece gli attacchi “più tradizionali” nel 2017, nella centrale nucleare francese di Cruas-Meysse, si sono introdotti una ventina di militanti di Greenpeace France scalando un edificio attaccato al reattore 4 ed alcuni di essi hanno lasciato le impronte delle mani sui muri dello stesso edificio per dimostrare la sua accessibilità e vulnerabilità di fronte a un eventuale attacco terroristico. Il bersaglio principale dell’azione dimostrativa degli attivisti di Greenpeace sono state le piscine di stoccaggio provvisorio del combustibile nucleare esausto, giudicate estremamente vulnerabili. Il gesto, puramente dimostrativo, ha però evidenziato la mancanza di sicurezza che avevano, all’epoca, le piscine di raffreddamento e che ha spinto le autorità francesi a rivedere i protocolli in materia.

Dalla Ue 300 milioni di euro per finanziare i nuovi impianti nucleari

Nonostante le forti perplessità dell’opinione pubblica Bruxelles ha deciso di inserire quella nucleare tra le energie “green” della nuova Europa, anche se a determinate condizioni “chiare e rigorose”. In base alla “Taxonomy Regulation” una centrale nucleare è riconosciuta fonte di energia pulita se ha un piano di sviluppo, fondi sufficienti e un luogo dove depositare i rifiuti radioattivi. Le nuove centrali nucleari saranno green solo se avranno ricevuto i permessi di costruzione prima del 2045. Inoltre gli impianti già esistenti dovranno rispettare la soglia massima di emissione di 100 gCO2e/kWh.

Lo scorso luglio la Commissione europea ha adottato il programma di lavoro Euratom 2021-2022, che attua il programma Euratom di ricerca e formazione 2021-2025. Il programma di lavoro delinea gli obiettivi e i settori tematici specifici, che riceveranno un finanziamento di 300 milioni di euro, anche se tali investimenti non sono finalizzati solo alla ricerca sulla fusione e nel miglioramento della sicurezza degli impianti ma anche per l’utilizzo sicuro della tecnologia nucleare per scopi diversi dalla produzione di energia, in primis in ambito medico.

Se Bruxelles punta rilanciare la produzione dell’energia nucleare ancora una volta l’Europa non riesce a parlare con una sola voce divisa tra i paesi che continuano ad investire e quelli che invece stanno dismettendo quelle esistenti; a guidare i due gruppi rispettivamente la Francia e la Germania.

In Italia il centrodestra favorevole

Per quanto riguarda il nostro paese le posizioni in merito al nucleare, mentre ancora si cerca di risolvere la questione legata allo smaltimento delle scorie di quelle dismesse, sono note da tempo con il centrodestra che sostiene questa energia mentre la sinistra ed i 5 Stelle si oppongono.

Oggi a destra è soprattutto la Lega a puntare sul nucleare green tanto che la Saltamartini ha definito la decisione della Commissione “importante soprattutto durante una crisi energetica come quella che stiamo vivendo e che ha prodotto l’aumento dei costi in bolletta per famiglie e imprese. In questo modo viene data la possibilità di investire nel nucleare pulito e sicuro di nuova generazione, azioni necessarie per arrivare anche ad una maggiore indipendenza energetica. Ora mi auguro che il Governo italiano si muova in questa direzione archiviando definitivamente i no ideologici della sinistra”.

Il governo invece tramite il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani ha ricordato: “abbiamo una legge, dopo due referendum, che stabilisce che non possiamo fare nuove installazioni nucleari. Questo è fuori discussione. Onestamente, come ministro tecnico, io non sosterrei oggi nel 2022 la costruzione di nuove centrali nucleari di seconda o terza generazione” pur chiosando “sono sicuro che in futuro sarà una valida soluzione lo sviluppo di piccoli reattori modulari di quarta generazione”.

A Berlino svolta green e chiusura degli impianti

Recentemente il ministro dell’Ambiente francese Berangere Abba ha ribadito che l’Eliseo prevede che i progetti per le sue nuove centrali nucleari saranno presentati intorno al 2023, con l’obiettivo di far entrare in funzione i reattori di nuova generazione nel 2035-37.

Da un punto di vista tecnico nuovi impianti dovrebbero essere dotati di reattori di tecnologia EPR2, cioè versioni migliorate dell’EPR dell’utility EDF, che ha registrato anni di ritardi e miliardi di euro di costi in eccesso presso le centrali appena completate o ancora in costruzione in Francia e Finlandia. EDF ha già inviato una proposta al governo per costruire sei reattori EPR2 per un costo totale di circa 50 miliardi di euro, riferisce Le Figaro.

Di parere diametralmente opposto le autorità tedesche che puntano forte sulle rinnovabili sacrificando per l’appunto quella prodotta dai reattori.

Proprio alla fine del 2021 la Germania ha spento definitivamente i reattori di tre delle sei centrali nucleari ancora attive nel paese nell’ambito del suo piano per il progressivo abbandono dell’energia nucleare mentre le restanti tre saranno spente entro la fine dell’anno rispettando l’impegno assunto dall’ex cancelliera tedesca Angela Merkel nel 2011, in seguito alle preoccupazioni emerse dopo il disastro di Fukushima, in Giappone quando si impegnò a ridurre progressivamente l’utilizzo dell’energia nucleare fin da subito e a spegnere tutte le proprie centrali nucleari entro il 2022.

Sempre in Germania, inoltre, sono già state raccolte oltre 300 mila firme contro la decisione della commissione europea di classificare l’energia nucleare come ecosostenibile. A prendere in consegna la lista, che vede unite organizzazioni ecologiste come Cimpact, Deutsche Umwelthilfe, e Greenpeace, la capogruppo dei verdi Ricarda Lang. Lo slogan dell’appello è: “No all’atomo e al gas” con il vicecancelliere Robert Habeck, ministro dell’economia e del Clima che ha ribadito che si tratta di un “grande errore” da parte di Bruxelles.

L’eterno ritorno del Nucleare che per la Ue diventa green

La decisione della Commissione europea di definire gas e nucleare utili alla transizione ecologica e di considerarle attività temporaneamente sostenibili ha rilanciato il dibattito sull’energia prodotta da centrali atomiche, complice anche il caro energia e la crisi ucraina che rischia di avere ripercussioni sull’approvvigionamento energetico del Vecchio continente; ora la decisione finale spetterà al Parlamento europeo ed al Consiglio Ue che entro sei mesi circa dovrebbe accettare o affossare la proposta.

Ma così come la Commissione si è divisa sul voto finale anche i paesi europei sul tema del nucleare non hanno una posizione univoca ma si muovono in ordine sparso. Ed anche nel resto del mondo la situazione è molto confusa visto che paesi come la Cina e la Russia vedono nella tecnologia nucleare un modo per aumentare oltre alla loro efficienza energetica anche il loro peso geopolitico mentre altri, ad esempio Turchia ed Egitto, un modo per acquisire importanza sullo scacchiere mondiale.

Attualmente a livello globale sono attivi oltre 440 reattori nucleari dislocati in 29 diversi paesi; un terzo di questi, 148 su 442, si trovano in Europa ospitati in 16 nazioni. A breve però il numero totale dovrebbe superare le 500 unità visto che sono oltre 60 quelle in via di realizzazione, ma appena 8 delle quali nel Vecchio continente, oltre ad una cinquantina progettate ma ancora in fase di studio.

La nazione che più di ogni altra sfrutta il nucleare per produrre energia sono gli Usa che da soli detengono 104 reattori, quasi il doppio della Francia che in questa particolare classifica si posiziona seconda con 58, più un’altra in via di realizzazione; di seguito il Canada con 54 e la Russia con 32 anche se Mosca ne sta costruendo altre 11 e l’azienda russa Rosatom è attiva in tutto il mondo in diverse collaborazioni bilaterali.

I reattori attivi hanno un’età media compresa fra 24 e 31 anni. Le centrali più vecchie, quelle di prima generazione, sono state ormai smantellate (ne restano in funzione una o due a scopo sperimentale) e tutte le centrali attualmente attive nel mondo sono di seconda generazione.

Nel 2016 la World nuclear association (Wna) tramite l’allora direttore generale Agneta Risinmg indicò l’obiettivo di produrre mille GW di energia entro il 2050, con un gigawatt equivalente a circa un reattore nucleare di medie dimensioni. Obiettivo che sulla carta potrebbe essere quasi raggiunto una volta che tutti gli impianti in via di realizzazione saranno ultimati, anche se da qui a 30 anni alcune di quelle attualmente operative saranno chiuse per raggiunti limiti di età, anche se Francia ed Usa hanno allungato la vita di alcune centrali.

Nonostante gli sforzi e gli auspici della Wna, e la voglia di molti paesi di rispondere al proprio fabbisogno energetico grazie a quella nucleare negli ultimi anni “il fascino del reattore” sembra aver perso molto appeal, tanto che utilizzando i dati della stessa Wna si nota come tra il 2011 ed il 2021 il numero dei reattori pianificati sia passato da 156 a 101 con i paesi intenzionati a dotarsi di tali impianti diminuiti da 48 a 42, tra questi ultimi va annoverata anche l’Italia in seguito al referendum sul tema svoltosi proprio nel 2011.

Da un punto di vista geopolitico risulta evidente il ruolo trainante di alcuni paesi asiatici (Cina, Corea del Sud, India) oltre a Russia e Pakistan che nel periodo considerato hanno messo in servizio complessivamente 50 nuovi impianti e ne mostrano altri 308 tra pianificati e proposti.

Altrettanto evidente è la novità rappresentata dai paesi dell’area medio orientale (Emirati arabi, Arabia Saudita, Egitto, Giordania, Turchia) a cui sono attribuiti 30 nuovi impianti tra pianificati e proposti oltre ai 2 già in funzione negli Emirati arabi.

Petrocaribe: un bilancio a 16 anni dalla sua creazione

A 16 anni dalla sua creazione, Petrocaribe continua a rappresentare un meccanismo di integrazione che promuove lo sviluppo socioeconomico regionale, attraverso la fornitura di petrolio e finanziamenti a condizioni favorevoli ad altri paesi dell’America Latina e dei Caraibi.

Petrocaribe è un’iniziativa promossa, come molte altre di questo tipo, dal Venezuela di Hugo Chavez nell’ambito dell’Alleanza Bolivariana per i Popoli della Nostra America – Trattato del Commercio dei Popoli o ALBA-TCP, con lo scopo di dar vita ad un commercio petrolifero più equo e solidale tra le nazioni indiolatine.

Nel 2010 Chavez facendo un primo bilancio osservò che senza Petrocaribe “molti paesi avrebbero dovuto spegnere le luci e forse dichiarare bancarotta, se non fosse stato per questo progetto”.

Attualmente collaborano in questo progetto Antigua e Barbuda, Bahamas, Belize, Cuba, Dominica, El Salvador, Grenada, Guatemala, Guyana, Haiti, Honduras, Giamaica, Nicaragua, Repubblica Dominicana, Saint Kitts e Nevis, Santa Lucia, Saint Vincent e Grenadine, Suriname e Venezuela.

Fino alla fine del 2018 Petrocaribe aveva fornito 356 milioni di barili di greggio e prodotti, pari a 31,523 miliardi di dollari, di cui circa il 50 per cento finanziato a lungo termine; inoltre sono state concepite almeno otto joint venture tra PDV Caribe, S.A. e le società statali di 12 paesi membri di Petrocaribe concepite per rendere praticabile la politica di cooperazione energetica.

Attraverso queste joint venture si cerca di potenziare le capacità tecniche e tecnologiche dei paesi membri e di avanzare nello sviluppo di progetti che consentano l’uso e la gestione efficiente delle risorse energetiche disponibili.

Attraverso il rapporto tra le joint venture e le controllate PDVSA Cuba e Comsurca (Comercializadora de Suministros Regionales del Caribe), è stata raggiunta una capacità di raffinazione di 134 mila barili al giorno, distribuiti tra Giamaica, Cuba e Repubblica Dominicana.

In termini di produzione di energia elettrica, raggiunge un totale di 589,35 megawatt negli impianti termoelettrici, eolici e mini-idroelettrici installati in Nicaragua, Haiti, Giamaica, Saint Vincent e Grenadine e Saint Kitts e Nevis.

Nel 2019 i paesi che collaborano tra loro hanno realizzato 790 progetti nei settori dell’alimentazione, dell’elettricità, dell’istruzione, dell’igiene ambientale, dei servizi pubblici, dell’edilizia abitativa e della salute, tra gli altri, che hanno contribuito in modo significativo alla riduzione della povertà.

L’importanza di Petrocaribe come asse di integrazione regionale è stata evidenziata quando l’allora presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha lanciato nel 2017 un piano di contrappeso all’organizzazione, attraverso una cosiddetta “Iniziativa per la sicurezza energetica dei Caraibi”, per ridurre al minimo il suo impatto l’area.