Crisi ucraina: truppe russe a Kiev ma per l’Europa quello che conta è la finanza
Dopo molte parole ed il fallimento della diplomazia nella crisi ucraina hanno iniziato a far rumore le armi e gli spari delle forze militari russe per difendere le popolazioni russofone in Donbass hanno iniziato la loro offensiva e secondo la stampa russa sarebbero già arrivate a Kiev.
Le prime unità dei quasi duecentomila soldati che assediavano i confini sono entrate ieri da tutti i fronti – le zone controllate dai separatisti del Donbass a est, la Crimea occupata a sud, la Bielorussia a nord – e in poche ore piombano con i parà hanno preso il controllo dell’aeroporto militare di Hostomel, a una quarantina di chilometri dalla capitale; tutti obiettivi scelti e mirati e non gli attacchi indiscriminati portati avanti dagli Usa in contesti simili.
Per l’esercito di Putin il primo giorno dell’attacco è stato “un successo”: Mosca afferma di aver distrutto 83 obiettivi militari, incluse 11 piste d’atterraggio, una base navale e tre centri di comando. Forti esplosioni e scontri si susseguono a Odessa, Kharvik, Mariupol, Leopoli e Kiev. Missili piovono anche dalla Bielorussia, dove però il presidente Alexander Lukashenko giura che al momento le sue truppe non partecipano all’invasione. E dalle autoproclamate repubbliche separatiste del Donbass di Lugansk e Donetsk i miliziani sfondano verso Mariupol. Secondo Kiev le vittime di questi attacchi sarebbero almeno 57. Il comando militare ucraino denuncia anche il bombardamento di un ospedale nella regione di Donetsk, con almeno 4 vittime e 10 feriti, tra cui 6 medici. Oltre 200 attacchi in dodici ore disseminati in tutto il Paese, più di cento missili sparati secondo il Pentagono. L’esercito ucraino rivendica l’abbattimento di alcuni aerei ed elicotteri nemici e l’uccisione di “50 occupanti”.
Nel tentativo di reggere l’urto russo Kiev dopo aver mobilitato i riservisti ha imposto la legge marziale, chiamato i civili alle armi e fatto appello alla donazione di sangue per i soldati feriti.
La risposta dell’Occidente a questo “atto brutale di guerra”, come lo ha definito il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, è nelle solite sanzioni economiche con il premier britannico Boris Johnson, che si è detto “inorridito per la scelta del bagno di sangue del dittatore Putin, ha bandito dalla City tutte le banche russe e bloccato i voli della principale compagnia aerea russa, Aeroflot, oltre a sanzionare altri 100 fra individui, entità e società , con oligarchi tra cui l’ex genero di Putin, Kirill Shamalov. Misure che per l’Occidente potrebbero affossare l’economia di Mosca, dopo il crollo record della Borsa.
Anche l’Unione eruopea, solita ridurre tutto sul piano economico e finanziario ha fatto le sue mosse. Oggi infatti la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen ha annunciato che “la Russia non avrà più accesso ai mercati finanziari più importanti. Abbiamo approvato un pacchetto massiccio di sanzioni che avranno un impatto sull’economia russa e l’élite politica di quel Paese”, spiegando che i settori colpiti sono quello finanziario, energetico, dei trasporti, del controllo sulle esportazioni, in aggiunta alle politiche dei visti. “Per quanto riguarda le sanzioni finanziarie, la Russia non avrà più accesso ai mercati più importanti. Prendiamo in considerazione il 70 per cento del mercato russo, ma anche aziende chiave dello Stato, incluse quelle del settore della difesa”, e “questo comporterà una erosione delle basi dell’economia” della Russia. Inoltre, “l’oligarchia (russa) non potrà più custodire i propri capitali nei paradisi fiscali”, ha spiegato la presidente della Commissione Ue.
Insomma, il mondo Occidentale pensa agli affari e lascia da sola l’Ucraina; “la Nato non è pronta a dare a Kiev le necessarie garanzie per il suo ingresso nell’Alleanza”. Lo ha dichiarato nella notte il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, in un videomessaggio rivolto alla nazione. “Onestamente, tutti hanno paura”, ha aggiunto il capo dello Stato riferendosi ai partner occidentali dell’Ucraina che, a suo dire, non avrebbero imposto sanzioni abbastanza dure contro la Russia dopo l’inizio dell’invasione. Secondo Zelensky, “il mondo sta continuando a osservare da lontano cosa sta succedendo in Ucraina”. Il capo dello Stato ucraino ha quindi lanciato un nuovo appello al dialogo: “Presto o tardi, la Russia dovrà parlare con noi, dirci come porre fine alle ostilità e terminare quest’invasione. Prima inizieranno questi colloqui, meno perdite ci saranno”.
Brasile: ex presidente Lula contro vendita Eletrobras
Il leader del Partito dei Lavoratori (PT) ed ex presidente del Brasile, Luiz Inácio Lula da Silva, ha riaffermato la sua opposizione alla privatizzazione della più grande compagnia elettrica del Paese e della regione: la Eletrobras.
L’ex Capo di Stato ha spiegato che vendere questa azienda ad un prezzo inferiore del 50% a quello che è il suo valore reale potrebbe generare una stagnazione dello sviluppo industriale del Paese sudamericano e portare anche a tariffe elettriche elevate nel Paese. Inoltre, con la privatizzazione si “eliminerebbe un bene statale a beneficio del popolo brasiliano” ricordando che all’inizio della costruzione della società sono stati investiti oltre 20miliardi di reais (3.995 milioni di dollari) a beneficio di 15 milioni di persone. Ricordando anche che secondo diversi studi la compagnia elettrica si è classificata all’ottavo posto nell’elenco delle società che hanno contribuito maggiormente al reddito del Paese nell’ultimo 2020
“Il Partito si appellerà alla Corte Federale per impedire il processo di privatizzazione, perché questo è un reato contro il Paese” ha sottolineato il presidente nazionale del PT, Gleisi Hoffmann.
Il provvedimento che rende possibile la vendita di Eletrobras è stato approvato dall’attuale presidente brasiliano, Jair Bolsonaro, nel luglio dello scorso anno, al fine di porre fine al controllo statale della società e ottenere una stima di 100miliardi di reais (1.998. 162 dollari) a beneficio del bilancio pubblico.
Crisi Ucaina: Putin dà scacco alla Nato che ora ha tutto da perdere
Con una mossa a sorpresa, il presidente russo Vladimir Putin ha dapprima annunciato il riconoscimento dell’indipendenza delle autoproclamate repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk, per poi ordinare l’invio di truppe nella regione del Donbass con lo scopo di assicurare la pace, in pratica come gli Usa e la Nato sono soliti fare negli scenari di guerra.
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Messico: manifestazione di donne attaccate con acido
Alcune attiviste femministe vittime in passato di attacchi con l’acido hanno manifestato a Città del Messico davanti al Palazzo Nazionale per chiedere al governo di porre fine all’impunità di fronte all’ondata di attacchi contro le donne.
La protesta si è svolta per commemorare l’ottavo anniversario dell’attacco con l’acido contro Carmen Sánchez, il cui volto è stato sfigurato dal suo ex compagno; una delle vicende che più ha fattoi discutere nel paese indiolatino.
“Oggi vogliamo che inizi la lotta per sradicare la violenza con l’acido, per questo dobbiamo chiarmalo per ciò che è: un tentato femminicidio”, ha detto Martha Ávila, una delle organizzatrici della protesta e portavoce della Fondazione Carmen Sánchez MX .
A nome di tutte le vittime Avila ha spiegato: “Non avrei mai pensato che sarebbe successo a me”, un preambolo per chiedere solidarietà alle donne che sono state vittime di questo tipo di aggressioni, aggressioni che, ha chiesto, dovrebbero essere classificate come “tentato femminicidio”. La portavoce della fondazione ha poi accusato le forze di polizia e di sicurezza di non ascoltare le vittime di questi attacchi e delle aggressioni sessiste chiedendo quindi ai funzionari di polizia di creare un protocollo per la cura delle vittime e creare pratiche cliniche per le donne che arrivano in ospedale dopo essere state attaccate con l’acido.
La vicepresidente della Fondazione, Ximena Canseco, ha riferito che almeno 32 donne sono state aggredite con l’acido da quando hanno aperto l’anagrafe delle vittime di violenza.
Lo scorso anno in Messico sono stati registrati oltre mille femminicidi; inoltre, secondo i dati ufficiali nel paese vengono uccise più di 10 donne al giorno.
Anche i casi di violenza familiare sono in aumento con un numero record di denunce per questo crimine di 23.909 nel maggio 2021.
Breve storia del nucleare italiano
Il rapporto tra l’Italia ed il nucleare inizia nel 1955 quando all’indomani della conferenza “Atomi per la pace” di Ginevra il nostro paese decide di investire in questa nuova tecnologia ed arriva ad avere sul proprio territorio tre impianti di prima generazione basati sulle tre più innovative tecnologie dell’epoca: i reattori di tipo BWR e PWR di origine statunitense e quello di tipo Magnox di origine britannica.
Il programma italiano è ambizioso ma porta anche a risultati molto importanti: nel 1966 infatti il nostro paese è il terzo produttore al mondo di energia nucleare dopo gli Usa e l’Inghilterra.
La prima centrale elettronucleare italiana venne realizzata a Latina, la costruzione fu ultimata nel maggio del 1963; otto mesi più tardi fu approntata quella di Sessa Aurunca, in provincia di Caserta, e nel 1965 quella di Trino, nel vercellese. Nel 1970 iniziò la costruzione di quella di Caorso, nel piacentino.
Nel 1975 avvenne il varo del primo Piano Energetico Nazionale (PEN) che prevedeva, fra le altre cose, un forte sviluppo della componente elettronucleare. All’inizio degli anni 80’, per la precisione nel 1982, iniziò la costruzione della centrale di Montalto di Castro, nel viterbese; inoltre fu pianificata una seconda centrale a Trino, la prima basata sull’allora nascente “Progetto Unificato Nucleare”, con due reattori nucleari ad acqua pressurizzata PWR da 950 MW di potenza elettrica netta ciascuno.
Dopo l’entusiasmo degli anni ’70 il progetto del nucleare italiano inizia a subire un brusco rallentamento. Nel 1982 l’impianto di Sessa Aurunca viene fermato per un guasto e, a seguito di valutazioni sull’antieconomicità delle riparazioni, viene spento anche se sarà l’incidente di Cernobyl, 1986, a fermare il programma italiano.
Nel 1987 infatti tre referendum portano gli italiani a dire no a questo tipo di energia anche se i quesiti in oggetto non vietavano in modo esplicito la costruzione di nuove centrali, né imponevano la chiusura di quelle esistenti o in fase di realizzazione, ma si limitavano ad abrogare i cosiddetti “oneri compensativi” spettanti agli enti locali e la norma che concedeva al Cipe, il potere di scelta dei siti anche se in accordo con i comuni interessati. Sull’onda emotiva però l’Italia decide di abbandonare il Progetto unificato nucleare.
Sarà poi il IV governo Berlusconi tra il 2005 ed il 2008 a tentare il rilancio del nucleare nel nostro paese ma un nuovo referendum, svoltosi nel 2011 appena tre mesi dopo l’incidente di Fukushima, conferma la contrarietà degli italiani a questo tipo di tecnologia.
Forti della decisione della Commissione europea ora il centrodestra, in primis il leghista Matteo Salvini, è tornata a ventilare la possibilità di rilanciare il nucleare nel nostro paese.
Ucraina: le diplomazie al lavoro ma Kiev si prepara al peggio
Sembra non sbloccarsi lo stallo tra Usa e Russia in merito alla crisi ucraina anche se Kiev, grazie a Washington continua a prepararsi alla guerra.
Nelle ultime ore, infatti, dalla Lituania è atterrata una fornitura del sistema missilistico anti-aereo Stinger, mentre altre 180 tonnellate di munizioni le hanno trasferite gli Stati Uniti, per un totale di circa 1.500 dall’inizio della crisi.
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Una questione annosa: la gestione delle scorie nucleari
La creazione di energia nucleare ha come conseguenza la produzione di tutta una serie di scorie di cui non è previsto il riutilizzo. I rifiuti nucleari infatti emettendo radioattività, devono essere gestiti in maniera adeguata per evitare rischi per l’uomo e per l’ambiente. Esistono diverse categorie di rifiuti radioattivi, alle quali corrispondono diverse modalità di gestione, in base alla concentrazione di radionuclidi e del tempo in cui la radioattività decade.
In Italia, nonostante le poche centrali esistenti siano ormai dismesse da anni ancora non si è riusciti a trovare una soluzione soddisfacente a questo problema.
Nel nostro paese i rifiuti radioattivi finora prodotti sono custoditi in depositi temporanei che ne consentono la gestione in sicurezza e l’isolamento dall’ambiente. Tali rifiuti provengono dal pregresso esercizio e dallo smantellamento degli impianti nucleari ma anche dalle attività nel campo sanitario, industriale e della ricerca.
Il nostro paese attualmente ha poco meno di 100mila metri cubi di rifiuti da smaltire ma ancora non è stata individuata l’area visto che tutti i comuni coinvolti nel progetto preferiscono declinare.
Secondo la Sogin, la società pubblica incaricata dello smaltimento dei rifiuti per realizzare il Deposito Nazionale e il Parco Tecnologico, è previsto un investimento complessivo di circa 900 milioni di euro; sono necessari quattro anni per la sua realizzazione e, in base agli attuali piani, la sua entrata in esercizio dovrebbe avvenire entro il 2029.
I depositi sono di due tipi: di superficie o di profondità.
Quello di superficie è una struttura realizzata a livello del terreno o fino ad alcuni metri di profondità, al fine di provvedere alla sistemazione definitiva dei rifiuti radioattivi a bassa e media attività. Quello che sarà realizzato in Italia sarà di questo tipo. Attualmente quelli operativi in Europa sono quelli di el Cabril (Spagna), l’Aube (Francia), Dukovaný (Repubblica Ceca), Mochovce (Slovacchia) e quello di Drigg (Regno Unito). Altri due, in fase di realizzazione, sono quelli di Dessel (Belgio) e di Vrbina (Slovenia). Il deposito geologico di profondità è invece una struttura per la sistemazione definitiva dei rifiuti radioattivi a media e alta attività, realizzata nel sottosuolo a notevole profondità (di solito diverse centinaia di metri), in una formazione geologica stabile (argille, graniti, salgemma). Questo consente l’isolamento dei radionuclidi dall’ambiente per periodi molto lunghi (fino a centinaia di migliaia di anni). L’unico operativo di questo tipo è il WIPP (Waste Isolation Pilot Plant) a Carlsbad (New Mexico – USA). In Europa Svezia, Finlandia e Francia hanno già individuato il sito mentre Germania, Regno Unito, Repubblica Ceca, Svizzera e Ungheria hanno già avviato il processo di localizzazione.
“Pronto a tutto” arriva al cinema
Dopo una lunga lavorazione arriva finalmente al cinema “Pronto a Tutto” il primo film del regista romano Andrea Pierini. La pellicola sarà infatti presentata in anteprima nello storico cinema Broadway nel quartiere romano di Centocelle il prossimo 18 febbraio alle ore 21. Ad accompagnare l’autore ci saranno anche l’attrice e conduttrice Carmen Morello, già ideatrice di diversi format per la Tv. ed il videoreporter Angelo Apolito.
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Tra cyber terrorismo e minacce convenzionali la sicurezza delle centrali nucleari è un tema delicato
Una delle grandi preoccupazioni che da sempre ha accompagnato il nucleare è quella legata alla sicurezza ed ai rischi a questa connessa. I due grandi incidenti del passato, Cernobyl nel 1986 e Fukushima nel 2011, da questo punto di vista rappresentano un monito perenne anche se negli ultimi anni sono aumentati anche i rischi legati a possibili attacchi terroristici, sia tradizionali sia legati al mondo cyber dato il sempre maggior utilizzo delle Intelligenze artificiali (AI) in questi impianti.
Le centrali nucleari vengono identificati come gli stabilimenti più sensibili dal punto di vista della sicurezza, classificati dalle normative nazionali come IC, mentre a livello sovrannazionale come infrastrutture critiche internazionali (ICI).
Ovviamente sono diversi i livelli di sicurezza impegnati in una centrale che coprono sia l’eventuale errore umano sia l’attacco esterno anche se va detto che proprio per ragioni di sicurezza la quantità di combustibile fissile presente in ogni momento in un reattore non è sufficiente ad autosostenere un’esplosione nucleare; anche nel caso si verificasse lo scenario peggiore, ovvero fusione del nocciolo con relativa esplosione attualmente la maggior parte delle centrali nucleari possiede un sistema di contenimento esterno, un enorme cupola di cemento, che impedirebbe la fuoriuscita di sostanze radioattive in pratica la soluzione adottata a Cernobyl con il tristemente famoso sarcofago.
Negli ultimi anni inoltre è aumentata sempre di più l’attenzione verso eventuali attacchi cyber tanto che il complesso insieme dei sistemi logici che assicurano il sicuro funzionamento di una centrale nucleare, devono appartenere a un sistema di tipo chiuso separato dal mondo web, utilizzando specifici dispositivi hardware di isolamento.
Altra difesa chiave, quale contrasto alle cosiddette minacce interne, è rappresentata dal severo controllo sull’uso dei device portatili (smartphone, tablet, notebook), utilizzati per interfacciarsi con le apparecchiature operanti all’interno dei siti atomici. Per fare un esempio riguardo i rischi connessi alla rete basti pensare che nel 2003 la centrale di David-Besse protetta da firewall è stata infettata dal virus Slammer introdotto nel sistema tramite il computer di un fornitore connesso attraverso un modem che ha permesso di violare la rete interna.
Per quanto concerne invece gli attacchi “più tradizionali” nel 2017, nella centrale nucleare francese di Cruas-Meysse, si sono introdotti una ventina di militanti di Greenpeace France scalando un edificio attaccato al reattore 4 ed alcuni di essi hanno lasciato le impronte delle mani sui muri dello stesso edificio per dimostrare la sua accessibilità e vulnerabilità di fronte a un eventuale attacco terroristico. Il bersaglio principale dell’azione dimostrativa degli attivisti di Greenpeace sono state le piscine di stoccaggio provvisorio del combustibile nucleare esausto, giudicate estremamente vulnerabili. Il gesto, puramente dimostrativo, ha però evidenziato la mancanza di sicurezza che avevano, all’epoca, le piscine di raffreddamento e che ha spinto le autorità francesi a rivedere i protocolli in materia.
Dalla Ue 300 milioni di euro per finanziare i nuovi impianti nucleari
Nonostante le forti perplessità dell’opinione pubblica Bruxelles ha deciso di inserire quella nucleare tra le energie “green” della nuova Europa, anche se a determinate condizioni “chiare e rigorose”. In base alla “Taxonomy Regulation” una centrale nucleare è riconosciuta fonte di energia pulita se ha un piano di sviluppo, fondi sufficienti e un luogo dove depositare i rifiuti radioattivi. Le nuove centrali nucleari saranno green solo se avranno ricevuto i permessi di costruzione prima del 2045. Inoltre gli impianti già esistenti dovranno rispettare la soglia massima di emissione di 100 gCO2e/kWh.
Lo scorso luglio la Commissione europea ha adottato il programma di lavoro Euratom 2021-2022, che attua il programma Euratom di ricerca e formazione 2021-2025. Il programma di lavoro delinea gli obiettivi e i settori tematici specifici, che riceveranno un finanziamento di 300 milioni di euro, anche se tali investimenti non sono finalizzati solo alla ricerca sulla fusione e nel miglioramento della sicurezza degli impianti ma anche per l’utilizzo sicuro della tecnologia nucleare per scopi diversi dalla produzione di energia, in primis in ambito medico.
Se Bruxelles punta rilanciare la produzione dell’energia nucleare ancora una volta l’Europa non riesce a parlare con una sola voce divisa tra i paesi che continuano ad investire e quelli che invece stanno dismettendo quelle esistenti; a guidare i due gruppi rispettivamente la Francia e la Germania.
In Italia il centrodestra favorevole
Per quanto riguarda il nostro paese le posizioni in merito al nucleare, mentre ancora si cerca di risolvere la questione legata allo smaltimento delle scorie di quelle dismesse, sono note da tempo con il centrodestra che sostiene questa energia mentre la sinistra ed i 5 Stelle si oppongono.
Oggi a destra è soprattutto la Lega a puntare sul nucleare green tanto che la Saltamartini ha definito la decisione della Commissione “importante soprattutto durante una crisi energetica come quella che stiamo vivendo e che ha prodotto l’aumento dei costi in bolletta per famiglie e imprese. In questo modo viene data la possibilità di investire nel nucleare pulito e sicuro di nuova generazione, azioni necessarie per arrivare anche ad una maggiore indipendenza energetica. Ora mi auguro che il Governo italiano si muova in questa direzione archiviando definitivamente i no ideologici della sinistra”.
Il governo invece tramite il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani ha ricordato: “abbiamo una legge, dopo due referendum, che stabilisce che non possiamo fare nuove installazioni nucleari. Questo è fuori discussione. Onestamente, come ministro tecnico, io non sosterrei oggi nel 2022 la costruzione di nuove centrali nucleari di seconda o terza generazione” pur chiosando “sono sicuro che in futuro sarà una valida soluzione lo sviluppo di piccoli reattori modulari di quarta generazione”.
A Berlino svolta green e chiusura degli impianti
Recentemente il ministro dell’Ambiente francese Berangere Abba ha ribadito che l’Eliseo prevede che i progetti per le sue nuove centrali nucleari saranno presentati intorno al 2023, con l’obiettivo di far entrare in funzione i reattori di nuova generazione nel 2035-37.
Da un punto di vista tecnico nuovi impianti dovrebbero essere dotati di reattori di tecnologia EPR2, cioè versioni migliorate dell’EPR dell’utility EDF, che ha registrato anni di ritardi e miliardi di euro di costi in eccesso presso le centrali appena completate o ancora in costruzione in Francia e Finlandia. EDF ha già inviato una proposta al governo per costruire sei reattori EPR2 per un costo totale di circa 50 miliardi di euro, riferisce Le Figaro.
Di parere diametralmente opposto le autorità tedesche che puntano forte sulle rinnovabili sacrificando per l’appunto quella prodotta dai reattori.
Proprio alla fine del 2021 la Germania ha spento definitivamente i reattori di tre delle sei centrali nucleari ancora attive nel paese nell’ambito del suo piano per il progressivo abbandono dell’energia nucleare mentre le restanti tre saranno spente entro la fine dell’anno rispettando l’impegno assunto dall’ex cancelliera tedesca Angela Merkel nel 2011, in seguito alle preoccupazioni emerse dopo il disastro di Fukushima, in Giappone quando si impegnò a ridurre progressivamente l’utilizzo dell’energia nucleare fin da subito e a spegnere tutte le proprie centrali nucleari entro il 2022.
Sempre in Germania, inoltre, sono già state raccolte oltre 300 mila firme contro la decisione della commissione europea di classificare l’energia nucleare come ecosostenibile. A prendere in consegna la lista, che vede unite organizzazioni ecologiste come Cimpact, Deutsche Umwelthilfe, e Greenpeace, la capogruppo dei verdi Ricarda Lang. Lo slogan dell’appello è: “No all’atomo e al gas” con il vicecancelliere Robert Habeck, ministro dell’economia e del Clima che ha ribadito che si tratta di un “grande errore” da parte di Bruxelles.