Petrocaribe: un bilancio a 16 anni dalla sua creazione
A 16 anni dalla sua creazione, Petrocaribe continua a rappresentare un meccanismo di integrazione che promuove lo sviluppo socioeconomico regionale, attraverso la fornitura di petrolio e finanziamenti a condizioni favorevoli ad altri paesi dell’America Latina e dei Caraibi.
Petrocaribe è un’iniziativa promossa, come molte altre di questo tipo, dal Venezuela di Hugo Chavez nell’ambito dell’Alleanza Bolivariana per i Popoli della Nostra America – Trattato del Commercio dei Popoli o ALBA-TCP, con lo scopo di dar vita ad un commercio petrolifero più equo e solidale tra le nazioni indiolatine.
Nel 2010 Chavez facendo un primo bilancio osservò che senza Petrocaribe “molti paesi avrebbero dovuto spegnere le luci e forse dichiarare bancarotta, se non fosse stato per questo progetto”.
Attualmente collaborano in questo progetto Antigua e Barbuda, Bahamas, Belize, Cuba, Dominica, El Salvador, Grenada, Guatemala, Guyana, Haiti, Honduras, Giamaica, Nicaragua, Repubblica Dominicana, Saint Kitts e Nevis, Santa Lucia, Saint Vincent e Grenadine, Suriname e Venezuela.
Fino alla fine del 2018 Petrocaribe aveva fornito 356 milioni di barili di greggio e prodotti, pari a 31,523 miliardi di dollari, di cui circa il 50 per cento finanziato a lungo termine; inoltre sono state concepite almeno otto joint venture tra PDV Caribe, S.A. e le società statali di 12 paesi membri di Petrocaribe concepite per rendere praticabile la politica di cooperazione energetica.
Attraverso queste joint venture si cerca di potenziare le capacità tecniche e tecnologiche dei paesi membri e di avanzare nello sviluppo di progetti che consentano l’uso e la gestione efficiente delle risorse energetiche disponibili.
Attraverso il rapporto tra le joint venture e le controllate PDVSA Cuba e Comsurca (Comercializadora de Suministros Regionales del Caribe), è stata raggiunta una capacità di raffinazione di 134 mila barili al giorno, distribuiti tra Giamaica, Cuba e Repubblica Dominicana.
In termini di produzione di energia elettrica, raggiunge un totale di 589,35 megawatt negli impianti termoelettrici, eolici e mini-idroelettrici installati in Nicaragua, Haiti, Giamaica, Saint Vincent e Grenadine e Saint Kitts e Nevis.
Nel 2019 i paesi che collaborano tra loro hanno realizzato 790 progetti nei settori dell’alimentazione, dell’elettricità, dell’istruzione, dell’igiene ambientale, dei servizi pubblici, dell’edilizia abitativa e della salute, tra gli altri, che hanno contribuito in modo significativo alla riduzione della povertà.
L’importanza di Petrocaribe come asse di integrazione regionale è stata evidenziata quando l’allora presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha lanciato nel 2017 un piano di contrappeso all’organizzazione, attraverso una cosiddetta “Iniziativa per la sicurezza energetica dei Caraibi”, per ridurre al minimo il suo impatto l’area.
Indigeni a Brasilia per protesta contro riforma fondiaria
Diverse popolazioni indigene brasiliane si sono ritrovate oggi nella capitale per protestare contro il progetto di legge 490/2007 che prevede la liberalizzazione delle terre, comprese quelle dove vivono gli indigeni.
Una manifestazione della comunità guarani Mbya do Jaraguá ha bloccato un’autostrada a San Paolo da venerdì mattina, per un’ora tutti i giorni fino a questo lunedì. Nel dettaglio i manifestanti sono contrari alla legge approvata giovedì scorso, con 41 voti a favore a 21 contro, in una commissione della Camera dei deputati.
I manifestanti sono scesi in strada anche per contestare la nomina di Joaquim Álvaro Pereira Leite al Ministero dell’Ambiente, in sostituzione di Ricardo Sales; Pereira Leite, infatti, fa parte di una famiglia tradizionale di coltivatori di caffè di San Paolo, che da decenni cerca di impadronirsi del territorio di Jaraguá.
Secondo i manifestanti e coloro che avversano questo progetto di legge una volta approvato renderà difficile la demarcazione e faciliterà l’esplorazione dei territori indigeni; altri sottolineano l’incostituzionalità del disegno di legge, che viola l’articolo 231 della Costituzione e gli accordi internazionali sulla protezione degli indigeni.
Francia: crolla Macron ma la Le Pen non sfonda
Sconfitta per La République en marche di Emmanuel Macron e vittoria per il Rassemblement National di Marine Le Pen. Questo, in sintesi, l’esito del primo turno elezioni regionali e dipartimentali che si sono tenute ieri, domenica 27 giugno, in tutta la Francia.
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Si apre giovedì il vertice dell’ALBA
Si aprirà giovedì 24 il XIX vertice dei Capi di Stato dell’Alleanza Bolivariana per i Popoli della Nosra America – Trattato del Commercio dei Popoli (ALBA-TCP), come confermato dal segretario esecutivo Sacha Llorenti.
Llorenti ha ribadito che la missione dell’Alba è quella di consolidare i rapporti di fratellanza con i popoli della regione perché “siamo un’alleanza per la vita, e privilegiamo il benessere dei popoli, l’unità dei popoli, prima che meri costumi e l’integrazione commerciale, come si fa di solito”.
“Stiamo lavorando per rafforzare ulteriormente la nostra Alleanza e fare un salto di qualità verso l’unità, e l’inclusione in uno scenario in cui gli Stati Uniti alleati con le oligarchie regionali, stanno generando un boicottaggio degli sforzi di integrazione”, ha aggiunto.
Il summit precedente si è svolto lo scorso dicembre in videoconferenza ed ha sancito l’impegno a rafforzare l’unità e la solidarietà nella regione in tempi di pandemia.
Gli Stati membri hanno ribadito nella dichiarazione dell’incontro il documento del loro impegno per l’integrazione regionale basata sul dialogo, la cooperazione, la solidarietà e la complementarità dei diversi paesi che lo compongono.
Vertice Nato: per Biden la Cina è il nemico
Contenere l’espansione militare di Pechino e l’aggressività di Mosca. Questo in sostanza l’esito del vertice Nato in cui il presidente Usa Joe Biden ha chiamato all’adunata i leader della europei, compattandoli su un’idea di «Alleanza delle democrazie in alternativa ai regimi autoritari», che come quello del Dragone «perseguono politiche coercitive e non condividono i valori democratici ed il rispetto dei diritti».
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Brasile: autorizzato invio militari nella regione di Yanomami
Il governo brasiliano ha autorizzato l’invio delle forze nazionali nella regione di Yanomami, nel nord del Paese, dove da settimane sono in corso forti conflitti tra le popolazioni indigene e i cercatori illegali di oro e pietre preziose (garimpeiros).
Secondo i media locali, il Ministero della Giustizia e della Pubblica Sicurezza ha autorizzato “l’uso della Forza Nazionale a sostegno della National Indian Foundation (Funai) nella terra indigena Yanomami. Partendo dal presupposto che la loro presenza è “essenziale per la salvaguardia dell’ordine pubblico”, gli agenti rimarranno sul territorio per un periodo di 90 giorni fornendo servizi, anche se in caso di necessità la loro presenza potrà essere prorogata.
Le autorità non hanno riferito il numero degli uomini inviati ma il corpo militare è composto da esponenti delle forze di polizia e da vigili del fuoco provenienti da tutto il paese ed avranno la loro sede nella città di Boa Vista, capitale del Roraima.
La regione Yanomami da 40 anni a questa parte vede un arrivo sempre cresce di cercatori d’oro abusivi e ciò ha portato negli ultimi mesi a conflitti sempre più tesi anche a causa della pandemia legata al Covid-19 poiché i garimpeiros non rispettano le “barriere sanitarie” poste dai nativi per impedire l’entrata del virus nelle loro terre. Il 10 maggio, i cercatori d’oro hanno attaccato a colpi di arma da fuoco la comunità di Palmiú, situata sulla strada per i campi illegali che hanno installato nel mezzo della giungla per estrarre l’oro; in conseguenza di ciò il giudice della Corte Suprema Federale, Luís Roberto Barroso, ha stabilito che il Governo dovrebbe adottare immediatamente “tutte le misure necessarie” per tutelare la vita, la salute e la sicurezza delle popolazioni delle terre Yanomami e di Munduruku.
Perù: vince Castillo un marxista quasi di destra
Con lo scrutinio fermo al 99,998% dei voti il marxista Pedro Castillo di Perù Libre appare come il nuovo presidente del paese indiolatino con il 50,204% delle preferenze battendo per un soffio Keiko Fujimori, espressione della aristocrazia e della borghesia locale.
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Messico, elezioni senza sorprese
Non ci sono state grandi sorprese nelle elezioni in Messico per il rinnovo della Camera dei 500 e 19mila cariche amministrative riguardanti 15 dei 32 governatori, 30 delle 32 assemblee legislative statali e i sindaci e consiglieri di 1.500 dei 2.500 comuni.
Poco o nulla da festeggiare per il presidente Andreas Manuel Lopez Obrador (Amlo) che ha parlato di “risultato insoddisfacente” nella Capitale, dovuto a suo dire da “un bombardamento di media ostili”; è andata meglio ma non troppo alla Camera dove il partito Morena ha perso la maggioranza dei due terzi mantenendo comunque quella semplice. Per il Capo dello Stato il risultato è dovuto al fatto che “la gente ha votato per la continuità dei programmi sociali, soprattutto per i poveri. E per garantire le risorse per le pensioni, i disabili, gli undici milioni di studenti provenienti da famiglie a basso reddito, per far sì che le medicine siano gratis per i meno abbienti e perché l’istruzione non torni mai più ad essere un privilegio”.
Il Gruppo Puebla, un forum politico e accademico composto da rappresentanti della sinistra politica indiolatina, ha inviato un saluto alle forze progressiste che sostengono il presidente messicano Andrés Manuel López Obrador per la vittoria elettorale.
“Chiediamo alle forze progressiste e di centrosinistra di avanzare nella trasformazione dell’unità e affrontare questo nuovo periodo politico in Messico, segnato dalle gravi conseguenze locali e internazionali del Covid-19”, si legge nella nota che spiega anche che “questa azione sarà possibile solo con “a convinzione di combattere la disuguaglianza, la violenza, e promuovere la pace, la democrazia e la giustizia sociale”.
Perù, è sfida all’ultimo voto per le presidenziali
Nelle presidenziali in Perù è testa a testa tra il candidato di sinistra Pedro Castillo del Partido politico national Perù libreed il conservatore Keiko Fujmori di Fierza Popular con un risultato che vede il primo avanti con il 50,28% dei voti con il voto dei residenti all’estero che potrebbe ribaltare tutto, lo scrutinio di questi voti infatti vedeva Fujmori avanti con il 64,4% dei voti anche se erano state aperte meno del 30% delle schede.
Il voto segna una mappa ben precisa del voto con Fujmori nettamente più votato nelle zone urbane mentre Castillo ha operato la rimonta e il sorpasso grazie ai voti delle zone più rurali del paese.
Oltre che sui voti provenienti dall’estero la sfida potrebbe decidersi anche a suon di carte bollate, attualmente ci sono circa 300mila voti contesi di cui “l’80% a favore di Fujmori” almeno stando a quanto dichiarato dal candidato alla vicepresidenza Luis Gallareta.
Unanimi i commenti di media ed esperti peruviani, che hanno evocato un “Paese spaccato” e un’opinione pubblica “polarizzata” e le scontate difficoltà a cui dovrà far fronte qualunque dei due candidati, non avendo una consistente presenza nel Congresso e destinato a formare un governo quasi sicuramente senza solida maggioranza parlamentare. Un lavoro di alleanze complesso aspetta dunque il vincitore, dato che il nuovo Parlamento di 130 membri emerso dalle elezioni dell’11 aprile è formato da ben undici partiti in conflitto fra loro e da tre indipendenti.