Scoperto tunnel record per narcotraffico tra Usa e Messico
Le autorità statunitensi in collaborazione con quelle messicane hanno scoperto un tunnel record, quasi un chilometro e mezzo, per contrabbandare droga, e non solo, tra i due paesi.
Il canale sotterraneo era stato realizzato tra la zona aeroportuale di Tijuana e Otay Mesa, in territorio messicano, e porta alla periferia di San Diego, in California, anche se non è stato precisato il punto esatto in cui questo tornasse alla luce, ed è stato descritto dagli agenti della polizia di confine come “il più sofisticato che si sia mai visto”. Il tunnel era infatti stato dotato di un sistema di trasporto su rotaie, di ventilazione, di pannelli e di cavi elettrici di alto voltaggio. All’interno presente anche un sistema di drenaggio dell’acqua per evitare allagamenti.
Il collegamento era stato individuato dalle autorità lo scorso agosto ed in questi mesi un’apposita squadra ne ha svolto la mappatura calandosi all’interno e seguendone il percorso.
Le autorità per il momento però non hanno dato notizie di arresti o confische e non hanno nemmeno riferito quale organizzazione criminale usasse questo sottopassaggio.
Per la cronaca, si tratta della 72ma galleria dei narcos scoperta dal 1993 nella zona di San Diego, un’aera dove il suolo in argilla e poco roccioso ne favorisce la costruzione.
Maduro: pronto a ristabilire relazioni consolari con Colombia
“Sono disposto a ristabilire le relazioni consolari con la Colombia, anche se il presidente Ivan Duque a causa del fanatismo ideologico e del suo estremismo si è avviato su terreni pericolosi. Duque ha dimostrato di non essere uno statista, non è all’altezza di guidare uno Stato. Duque ha portato le relazioni a un punto inimmaginabile”.
Questa la posizione assunta dal presidente eletto del Venezuela Nicolas Maduro commentando la notizia dell’arresto dell’ex deputata colombiana, Aída Merlano, nello stato di Zulia che è già stata trasferita a Caracas. Merlano, considerata una latitante nel suo paese allo stato attuale non può essere estradata poiché tra Caracas e Bogotà sono state sospese le relazioni diplomatiche; motivo che ha spinto l’uomo forte del Venezuela a chiedere alla controparte di mettere da parte il fanatismo ideologico e politico riavviando le relazioni diplomatiche e la cooperazione bilaterale.
“Venezuela e Colombia sono paesi vicini, indipendentemente dalle differenze tra i governi, siamo tenuti ad intrattenere relazioni diplomatiche, politiche e di cooperazione, in particolare in materia di sicurezza”, ha sottolineato il primo mandatario venezuelano.
Maduro ha anche annunciato che la Merlano ha già iniziato a rivelare l’intera rete di corruzione della classe politica colombiana, ed in merito all’annuncio del governo colombiano di volerne richiedere a Guaidó l’estradizione ha catalogato l’azione come ridicola, “è una brutta battuta. Pensa che Juan Guaidó dirige la polizia venezuelana? Non dirige nemmeno l’Assemblea nazionale”.
“Sono disposto – ha concluso – a ristabilire le relazioni consolari con il governo colombiano, in modo che questi problemi possano essere affrontati nel verso giusto”.
Le relazioni diplomatiche tra i due paesi sono sospese da circa un anno poiché in seguito all’autoproclamazione del golpista Guaidò la Colombia è stata tra i primi paesi a riconoscerlo legittimo presidente del Venezuela e facendo pressioni sulla comunità internazionale in tal senso.
Perù: le elezioni parlamentari segnano la fine della stagione politica di Fujimori
In Perù è finita l’epoca di Fujimori e del suo movimento politico.
Questo l’esito delle elezioni parlamentari che hanno visto la brusca sconfitta del partito che 4 anni fa aveva ottenuto la maggioranza assoluta dei seggi e che questa volta non ne ottiene nemmeno 20.
Vincitore delle elezioni il partito di Azione popolare (Ap) che ottiene il 10% dei consensi, anche se i risultati sono ancora parziali.
Di certo il nuovo Parlamento sarà molto frammentato e vedrà l’ingresso di nuove forze come il Frepaa, il Partito popolare agricolo, e l’Upp, l’unione per il Perù. Il Frepap addirittura appare la seconda forza politica del paese con circa il 9% dei voti, anche se come gruppo parlamentare sarà la quarta forza con 16 eletti; uno in meno rispetto all’Upp che ha ottenuto il 7% dei consensi.
Sconfitta anche per il Partito viola, vicino al presidente Martín Vizcarra che ottiene solo 9 deputati.
Altre agli uomini vicini a Fuijmori gli altri grandi sconfitti sono gli esponenti del partito socialdemocratico Apra che non arrivano al 5% e non superano la soglia di sbarramento.
Le elezioni erano state convocate dal presidente Vizcarra nel tentativo di riuscire ad ottenere una maggioranza più vicina alle sue posizioni e ridurre quindi gli scontri con l’Assemblea anche se quella che esce dalle urne appare ancora più complicata e litigiosa della precedente.
Si apre oggi in Venezuela incontro internazionale antimperialista
Si apre oggi, mercoledì 22 gennaio in Venezuela l’incontro internazionale antimperialista.
Preparando l’incontro il rappresentante del Psuv, il Partito socialista unitario venezuelano ha ribadito che nel paese indiolatino è in corso una grande battaglia contro l’imperialismo ed il tentativo di interferire nei paesi sovrani.
All’incontro che si svolge a Caracas prendono parte rappresentanti dei movimenti sociali e politici provenienti da tutto il mondo che denunceranno le politiche neoliberali e imperialiste promosse dagli Usa e dai suoi alleati al grido di “per la vita, la sovranità, la pace”.
Al meeting sono attese poco meno di 900 delegazioni.
Gerardo Marquez, dirigente del Psuv, ha spiegato come i convenuti lavoreranno su diversi tavoli tematici in cui verranno affrontati argomenti come: le aggressioni dell’imperialismo nel XXI secolo; la ricerca di un modello economico sostenibile: neoliberismo contro inclusione sociale; le esperienze di governi progressisti nel mondo e molti altri.
Il rappresentante dello Psuv ha sottolineato anche che in Venezuela si sta svolgendo una grande battaglia contro le pretese interventiste “che è servito da esempio per altre nazioni del mondo determinate a sconfiggere il neoliberismo”
L’incontro antimperialista si chiuderà venerdì 24 gennaio e fa parte dell’agenda del XXV Forum di San Paolo che si è tenuto a Caracas lo scorso luglio. In quell’occasione, i partecipanti hanno valutato gli effetti del neoliberismo.
Libia, dopo le parole ora servono i fatti
Conclusasi in modo soddisfacente, almeno a parole, la Conferenza di Berlino sulla Libia ora le parti devono applicarsi per mettere in pratica i buoni propositi. Ovviamente la Conferenza non ha risolto tutti i problemi del paese nordafricano ma rappresenta comunque una buona base di partenza.
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Bolivia: Mas annuncia i propri candidati per le elezioni di maggio
Saranno Luis Arce e David Choquehuanca i candidati del Mas, Movimento per il Socialismo, per le elezioni in Bolivia che si terranno il prossimo 3 maggio.
Al termine di una riunione tenutasi in Argentina il partito legato al presidente uscente, ma scalzato da un tentato golpe, Evo Morales ha deciso di puntare su questi due candidati scegliendoli tra quanti hanno sottoscritto un accordo scritto. Arce sarà il candidato alla presidenza mentre Choquehuanca sarà il suo vice.
Il tandem ha ovviamente ottenuto il benestare di Morales, attualmente in Messico.
Tra i due il più noto è sicuramente Arce, due volte ministro dell’Economia e delle Finanze della Bolivia; la prima volta tra il 2006 e il 2017 e la secondo dal 23 gennaio 2019 al 10 novembre 2019, durante il primo, il secondo e il terzo governo del presidente Morales.
Curriculum di tutto rispetto anche per Choquehuanca già ministro degli Esteri tra il 2016 ed il 2017, inoltre è stato Segretario generale dell’Alba, l’Alleanza bolivariana per i popoli dell’America latina tra il 2017 ed il 2019.
Prima di veder formalizzata la loro candidatura i due hanno ribadito l’accordo di unità di intenti per difendere le lotte dei movimenti sociali per le trasformazioni politiche ed economiche in favore del popolo boliviano.
Italia a Berlino con un occhio ai giacimenti Eni in Libia
Alla conferenza di Berlino sulla Libia che si terrà domenica l’Italia giocherà un ruolo di secondo piano rispetto a Russia, Usa o Turchia, ma è indubbio che debba cercare di fare il massimo per tutelare i nostri interessi nella nostra ex colonia, in primis quelli del gigante energetico Eni.
La diplomazia italiana da tempo sta lavorando per contribuire alla stabilizzazione della Libia, anche e soprattutto per permettere la normalizzazione e la ripresa delle istituzioni economico-finanziarie del paese nordafricano. Dopo la primavera araba del 2011, nonostante la deposizione e l’uccisione di Gheddafi, il paese vive una guerra civile che sembra non avere una soluzione, da una parte infatti c’è il governo riconosciuto dalla comunità internazionale di al Sarraj e dall’altra le truppe del generale Haftar; una situazione che mette a rischio i nostri interessi economici nella “quarta sponda” e la sicurezza di chi vi opera.
Il governo italiano è ben conscio della situazione, tanto che il premier Conte ha osservato: “L’Italia deve fare bene i suoi calcoli, visto che gli interessi nazionali sono principalmente in Tripolitania, a partire dall’impianto Eni di Mellitah, e dalle commesse energetiche, che vengono cogestite con la Noc, autorità petrolifera nazionale che, come la Banca centrale, risponde a al Sarraj”.
Il “Cane a sei zampe” è presente in Libia da oltre 60 anni, per l’esattezza dal 1959, e svolge attività di ricerca e sfruttamento dei giacimenti sia nell’offshore mediterraneo di fronte a Tripoli sia nel deserto libico per una superficie complessiva di 26.636 chilometri quadrati. Attualmente Eni svolge le sue attività grazie a diversi contratti che scadranno tra il 2038 ed il 2043, necessario quindi garantire la possibilità di operare senza problemi.
Nel dicembre 2018 il gruppo ha firmato un Memorandum of Understanding con la compagnia elettrica nazionale GECOL e la compagnia petrolifera di stato NOC che include l’avvio di un progetto di riabilitazione di alcune centrali elettriche a supporto dell’accesso all’energia per le comunità.
Tutelare l’Eni significa però tutelare il nostro approvvigionamento energetico attraverso il gasdotto Green Stream per l’importazione del gas libico prodotto dai giacimenti di Wafa e Bahr Essalam. Il gasdotto, composto da una linea di 520 chilometri, realizza l’attraversamento sottomarino del Mar Mediterraneo collegando l’impianto di trattamento di Mellitah sulla costa libica con Gela in Sicilia, punto di ingresso nella rete nazionale di gasdotti. La capacità del gasdotto ammonta a circa 8 miliardi di metri cubi/anno. La produzione di gas naturale in Libia nel 2018 è stata pari a 33,4 milioni di metri cubi al giorno, mentre l’approvvigionamento di gas naturale è stato pari a 4,55 miliardi di metri cubi.
Permettere all’Eni di operare in sicurezza significa anche salvaguardare i consumatori italiani visto che il nostro paese, energeticamente parlando, dipende dall’estero e problemi in Libia potrebbero causare non solo una difficoltà nel reperire gas e petrolio ma soprattutto doverlo fare a prezzi più alti con conseguenze sui consumi.
Il nostro è il paese europeo che maggiormente dipende dall’energia importata, il 78% proviene dall’estero e tradizionalmente la Libia è sempre stata il nostro primo fornitore; prima del 2011 copriva un quarto dei nostri consumi di energia tra gas, petrolio e prodotti petroliferi. Ora la quantità si è ridimensionata perché importiamo non più del 7% dell’energia che consumiamo sotto forma di petrolio greggio (6 milioni di tonnellate) e gas naturale.
Non solo interessi energetici però. L’instabilità della regione e della Libia ha come diretta conseguenza la mancanza di un freno all’immigrazione clandestina. Ai tempi di Gheddafi il raìs era solito utilizzare la questione migratoria per “ricattare” l’Europa permettendo o meno la partenza di navi dalle coste libiche; venuto meno il suo controllo con sempre più disperati che sfidano la sorte per attraversare il Mar Mediterraneo ed approdare in Italia.
Governo messicano smentisce vicinanza a Teheran
Il governo messicano ha smentito la notizia pubblicata dalla stampa statunitense in merito ad un’alleanza con Teheran.
A spiegare la posizione del paese centroamericano dal ministero degli Esteri del Messico che ha parlato di notizia falsa, smentendo che da quanto è stato eletto Lopez Obrador (Amlo) alla guida del paese i vertici della Repubblica islamica dell’Iran stiano cercando un riavvicinamento con Città del Messico.
Citando presunte fonti di intelligence la stampa a stelle e strisce aveva scritto che negli ultimi 13 mesi l’Iran aveva cercato un riavvicinamento e che “Obrador si sarebbe adattato al modello di Soleimani”.
Nei giorni scorsi il Messico aveva invitato tutti i paesi coinvolti nel conflitto nel Golfo Persico “ad agire con moderazione dopo l’assassinio di Soleimani”, ribadendo che “in conformità con i principi costituzionali di politica estera approva il valore del dialogo e della negoziazione nella risoluzione delle controversie internazionali”.
Negli ultimi mesi il Messico in politica estera ha spesso assunto posizioni contrarie ai desiderata di Washington e questo sta creando alcune frizioni tra i due paesi storicamente alleati di ferro.
Sempre più difficile la situazione a Teheran
Si fa sempre più difficile la situazione in Iran che ora rischia di trasformarsi in una polveriera, anche perché alle proteste interna si sommano gli attacchi della comunità internazionale, Usa e Trump in primis.
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Argentina: Fernandez continua ad attuare il suo programma economico
Il presidente argentino Alberto Fernandez continua ad applicare i punti del suo programma economico per portare l’Argentina fuori dalla crisi economica.
La crescita finanziaria delineata nel programma sarà sostenuta da maggiori oneri fiscali per le persone con una migliore posizione economica e il trasferimento di capitali ai più poveri, ha ribadito il capo dello Stato.
Fernández è alla guida del paese indiolatino da un mese ma gli effetti del programma economico che implementerà nella sua amministrazione stanno già iniziando a dare i primi frutti anche se l’obiettivo principale rimane quello di “rimettere i soldi nelle tasche delle persone” ed “accendere l’economia”.
La precedente amministrazione di Mauricio Macri ha lasciato in eredità al paese un forte debito estero ed una recessione preoccupante, oltre alla disoccupazione ed all’impoverimento generale delle capacità produttive del paese.
Il presidente Fernandez si è detto convito che l’applicazione di una serie di misure tra cui nuove trattenute per le principali esportazioni, riduzione delle tariffe dei servizi pubblici e dei carburanti, al riduzione del debito pubblico e l’aumento degli stipendi possano favorire la ripresa del paese.
Per permettere l’espansione finanziaria l’inquilino della Casa Rosada propone anche imposte più alte per i redditi più ricchi ed il trasferimento di capitali in favore dei più poveri, facendo così ricadere i costi della crisi su coloro che maggiormente si sono avvantaggiati durante il macrismo.
Le prospettive per l’economia argentina nei prossimi quattro anni, secondo la politica del governo, sono presentate con controlli sui cambi con tasse per l’acquisto di valuta estera per il risparmio e il turismo; aumento del reddito disponibile dei settori più deboli della popolazione mediante decreto; Programma Care Price per garantire valori di riferimento nei prodotti del paniere base; tassi stabili per sei mesi; e la riduzione di oltre 10 punti dei tassi di interesse della Banca centrale.