Libri: Bi.Erre. I fondatori di Gianremo Armeni
La storia delle Brigate Rosse, a quasi 50 anni dalla loro fondazione, rimane ancora avvolta per molti versi nel mistero con gli stessi protagonisti che spesso hanno offerto versioni contrastanti sui fatti che li hanno visti protagonisti.
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Argentina: varate misure per risparmi da 2 miliardi
Nell’Argentina ultra liberista del presidente Mauricio Macri il governo ha varato oggi delle norme per produrre un risparmio da 2 miliardi di dollari entro il 2019.
Tra le misure adottate dall’esecutivo l’eliminazione del fondo di solidarietà sulle esportazioni di soia, riduzione del rimborso alle esportazioni, e mantenimento delle aliquote sul commercio di olio e farina. Già entro la fine dell’anno Buenos Aires dovrebbe riuscire a risparmiare 400 milioni mentre i restanti 1,75 miliardi il prossimo anno.
Le misure sono state adottate per rispettare gli impegni assunti con l’FMI per ridurre il disavanzo fiscale all’1,7 per cento del Pil entro il 2019.
Contemporaneamente il presidente della Banca centrale, Luis Caputo, si è visto obbligato ad aumentare ulteriormente il Tasso ufficiale di sconto (Tus) portandolo dal 40 al 45 per cento. Il tutto sotto gli occhi della missione del Fmi guidata dall’italiano Roberto Cardarelli arrivata ieri a Buenos Aires con il compito di esaminare l’andamento dei conti pubblici e il compimento delle misure di austerity accordate a cambio del programma di assistenza di tipo stand by per 50 miliardi di dollari approvato lo scorso giugno.
Sempre per far fronte agli impegni assunti con il Fondo Monetario Internazionale l’Argentina in precedenza aveva deciso di utilizzare fino a 15 miliardi di dollari delle riserve della Banca centrale (Bcra) nell’intenzione di liquidare progressivamente parte dell’imponente stock di Lettere con scadenza a breve termine (Lebac) per oltre 30 miliardi di dollari che si è accumulato negli ultimi due anni.
Venezuela, forze socialiste oggi in piazza in sostegno del presidente Maduro
Gli esponenti del Partito socialista unito di Venezuela (Psuv) e tutti coloro che si riconoscono nelle forze rivoluzionarie locali scenderanno oggi in piazza per esprimere il proprio sostegno al presidente Nicolas Maduro nel corso della manifestazione “La patria chiama”.
Le forze politiche interessate hanno fatto sapere tramite una nota che si mobiliteranno “per la giustizia e la pace in una unione civico-militare in difesa della sovranità e dell’indipendenza del Venezuela”.
La manifestazione è stata organizzata sull’onda emotiva dell’attentato avvenuto la scorsa settimana a Caracas ai danni del primo mandatario del paese, anche se le opposizioni, soprattutto quelle internazionali del “Gruppo di Lima” che criticano la presunta “postura autoritaria” del governo.
In una dichiarazione ripresa dalla stampa locale i governi di Argentina, Brasile, Canada, Colombia, Costa Rica, Cile, Guatemala, Guyana, Honduras, Messico, Panama, Paraguay e Perù hanno definito “illegale” e “arbitrario” l’arresto del deputato venezuelano Juan Carlos Requesens, in aperta violazione di procedimenti penali e delle norme internazionali che prevedono lo svolgimento di indagini preliminari al fermo, cosi come il mandato di arresto emesso contro il deputato Julio Borges, a scapito delle sue immunità parlamentari e delle garanzie previste dalla Costituzione. I due sono accusati da Maduro di essere complici dell’attacco perpetrato contro di lui il 4 agosto.
Secondo i firmatari le autorità venezuelano stanno perseguendo gli oppositori politici con metodi che “provano ancora una volta la rottura democratica e la violazione della Costituzione del paese”.
Nicaragua: opposizioni oggi di nuovo in piazza
Le opposizioni nicaraguensi tornano oggi in piazza contro i presidente Daniel Ortega e il suo governo.
In base a quanto riferito dalla stampa locale i manifestanti chiederanno la fine della repressione e la liberazione di tutti i detenuti politici catturati a partire dall’inizio delle mobilitazioni, ovvero dallo scorso aprile, quindi il disarmo e la smobilitazione dei gruppi di paramilitari, con la supervisione dell’Onu e dell’Organizzazione degli stati americani (Osa). La manifestazione sarà replicata anche il prossimo mercoledì, 15 agosto affinché il loro appello “possa ottenere una soluzione politica alla crisi in corso e che possa ripartire il dialogo promosso dalla conferenza episcopale”.
Come anticipato sopra, dallo scorso aprile migliaia di manifestanti hanno marciato a Managua e in altre città del Nicaragua contro il governo. Nonostante gli attacchi denunciati nelle ultime settimane e le accuse di cospirazione contro lo stato, la Conferenza episcopale nicaraguense (Cen) intende continuare a chiedere l’apertura di un dialogo nazionale per mettere fine alla crisi che ha causato sin qui circa 300 morti.
La Conferenza episcopale ha chiesto al presidente Ortega, che nei giorni scorsi aveva accusato i religiosi di aver appoggiato i piani “golpisti” delle opposizioni, se intendesse confermare il ruolo di mediazione nel dialogo assunta a metà giugno. Un ruolo che, spiegavano i vescovi, continueranno ad esercitare sino a quando non arriverà per iscritto una richiesta contraria dal capo dello stato.
La proposta di mediazione, con la richiesta di indire un calendario elettorale anticipando al 2019 le elezioni previste per il 2022, era stata presentata dalla Conferenza episcopale lo scorso 7 giugno. Uno schema appoggiato anche dalla segreteria generale dell’Organizzazione degli stati americani (Osa). Un mese dopo Ortega ha però rifiutato apertamente la proposta, pur confermando la propria volontà di lavorare per la pace: “Qui le regole le fissa la Costituzione della Repubblica attraverso il popolo, le regole non possono essere cambiate dalla sera alla mattina semplicemente perché così viene in mente a un gruppo di ‘golpisti'”, ha detto Ortega denunciando come violente le azioni degli oppositori con barricate e uso di armi artigianali.
Argentina: Senato boccia legge sull’aborto
Il Senato di Buenos Aires ha respinto la possibilità di inserire l’interruzione volontaria di gravidanza nell’ordinamento statale.
Il progetto di legge che avrebbe introdotto l’aborto è infatti stato respinto con 38 voti contrari e 31 favorevoli. A giugno la Camera aveva invece approvato la proposta.
La decisione ha scatenato pesanti proteste fuori dall’aula parlamentare con alcuni manifestanti pro-aborto, circa 30, che hanno iniziato a lanciare bottiglie ed altri oggetti verso i “pro-vita”. L’intervento delle forze di polizia ha causato il ferimento di alcuni manifestanti.
Gli analisti da subito avevano anticipato che la Camera alta avrebbe respinto il provvedimento, anche se il voto finale è arrivato dopo ben 16 ore di dibattito nel corso delle quali hanno preso la parola 61 senatori su 72.
Oltre alle motivazioni etiche e morali, a far pendere il voto contro la legge anche l’alto costo che la sua applicazione comporterebbe. Rimane quindi in vigore la legge del 1921 che autorizza l’interruzione di gravidanza solo quando questa sia causa di stupro oppure sia in pericolo la salute della donne.
Tra i senatori che hanno votato a favore della legge anche l’ex presidente Cristina Fernandez de Kirchner che in passato aveva espresso parere contrario. L’attuale presidente Mauricio Macri ha invece preferito non prendere posizione direttamente pur dicendosi “a favore della vita”.
Secondo le organizzazioni locali attualmente in Argentina vengono praticati annualmente circa mezzo milioni di aborti illegali, anche se la cifra viene stimata per difetto.
Attualmente gli unici paesi indiolatini dove l’aborto è lecito sono Cuba e l’Uruguay.
Maduro presenta prove contro attentato di sabato scorso
Nicolas Maduro, il presidente del Venezuela, ha illustrato in diretta televisive le prove raccolte dagli inquirenti sull’attentato avvenuto sabato scorso a Caracas in occasione della parata in occasione dell’anniversario della fondazione della Guardia nazionale.
Come anticipato da Maduro già domenica tutte le prove ricondurrebbero alle responsabilità dell’opposizione venezuelana, in particolare del partito Prima la giustizia, che avrebbe agito con l’appoggio delle autorità della Colombia. Una volta pronto il dossier, ha annunciato il presidente, per tutti i responsabili sarà chiesta l’estradizione perché possano rispondere davanti alla magistratura venezuelana.
Il primo mandatario venezuelano ha anche aggiunto che la base degli attentati è Miami, dicendosi fiducioso sul fatto che il suo omologo statunitense Donald Trump si adoperi in tal senso.
Parlando dalla residenza presidenziale, Palazzo Miraflores, Maduro ha mostrato quattro video grazie ai quali è stato possibile ricostruire la traiettoria dei droni che, secondo la ricostruzione delle forze di sicurezza venezuelane, hanno puntato al presidente. Dieci minuti dopo il presunto tentativo di attentato, i primi due individui coinvolti nell’azione erano già stati catturati, grazie alla collaborazione di alcuni cittadini che hanno fornito informazioni utili alle autorità: alcuni residenti avrebbero notato due individui sospetti scendere da un furgoncino e, subito dopo, far volare i droni. Una volta sentite le esplosioni i cittadini avevano intuito che i due soggetti potevano essere coinvolti.
In manette è finito il deputato Juan Requesens e sua sorella Rafaela, dirigente di un movimento studentesco. Ancora una volta Maduro ha sottolineato che gli autori del presunto attentato sono stati addestrati in Colombia, nel nord dello stato di Santander: “È chiaro e abbiamo le prove della partecipazione del governo colombiano”, aveva riferito, aggiungendo “sono ancora sorpreso da quello che stiamo scoprendo, dall’intervento dell’oligarchia colombiana e all’utilizzo di metodi fascisti da parte di importanti leader politici dell’opposizione”.
Secondo Maduro gli attentatori avrebbero ricevuto un compenso di 50 milioni di dollari ed un visto per gli Usa. In totale sarebbero 11 le persone coinvolte nell’organizzazione dell’attentato.
Colombia: si apre oggi era Duque
In Colombia inizia oggi l’era del nuovo presidente Ivan Duque.
Termina così l’era di Juan Manuel Santos, passato alla storia per la pace, molto controversa raggiunta con i miliziani delle Farc. Proprio partendo dalle critiche ricevute dall’ex presidente Duque punta, come ammesso da lui stesso, ad avviare un dialogo aperto con la cittadinanza. Il neo presidente ha già dichiarato che il suo governo sarà vicino alle regioni e si è impegnato anche a visitare tutte le settimane un diverso municipio, realizzando riunioni con gli amministratori locali, soprattutto sui temi della sicurezza.
Dossier scottanti già sulla sua scrivania sono quelli relativi all’attuazione dell’accordo di pace raggiunto tra il governo Santos e le Farc, e il dialogo da riaprire con i guerriglieri dell’Esercito di liberazione nazionale (Enl), con l’auspicio di raggiungere la smobilitazione anche di quest’ultimo.
Centrale, anche alla luce di quanto accaduto nei giorni scorsi, il problema del rapporto con il Venezuela, il presidente Maduro ha apertamente accusato Bogotà dell’attentato avvenuto domenica scorsa.
Quasi sicuramente ci sarà anche un forte rafforzamento dell’alleanza con gli Usa, anche in considerazione che nelle scorse settimane il paese è diventata la prima nazione indio-latina ad entrare a far parte della Nato, l’alleanza militare internazionale capeggiata da Washington.
Iraq: terminato riconteggio manuale schede elettorali
La commissione elettorale irachena ha completato il riconteggio manuale delle schede elettorali del voto di maggio.
Lo ha riferito questa mattina la televisione di stato di Baghdad.
Il controllo manuale dei voti espressi dagli elettori quasi 3 mesi fa è stato ordinato dal parlamento a causa di un rapporto in cui venivano denunciati ed evidenziati gravi violazioni nel primo conteggio realizzato tramite un sistema elettronico.
Va però ricordato che un incendio scoppiato a giugno a Baghdad nel magazzino in cui erano stati archiviati le schede ha di fatto reso impossibile un riconteggio completo, portando la commissione elettorale a cancellarlo nella restante metà della capitale.
Sempre secondo i media locali i risultati definitivi dovrebbero essere resi pubblici a giorni dalla giuria che ha supervisionato il lavoro della commissione elettorale.
Frattanto i partiti sono alle prese con le difficili trattative per la formazione del governo. Il più votato è risultato infatti il controverso leader religioso Moqtada al Sadr mentre un importante gruppo parlamentare è rappresentato da un gruppo di miliziani sciiti sostenuti dall’Iran, mentre l’ex primo ministro Haider al Abadi è giunto solamente terzo.
Il clima elettorale era stato reso incandescente dalla diminuzione dei servizi di base in sostegno della popolazione più povero e la ricostruzione del paese, devastato prima dall’invasione Usa poi dall’espansione dell’Isis, che procede ad un ritmo molto lento.
Per Maduro, su attentato responsabilità Colombia
La Colombia è responsabile dell’attentato avvenuto oggi a Caracas durante il discorso del presidente venezuelano Nicolas Maduro in occasione dell’anniversario della fondazione della Guardia nazionale.
Lo ha affermato lo stesso primo cittadino parlando in diretta televisiva commentando quanto accaduto nel corso della parata militare quando tramite un drone il presidente è stato fatto oggetto di un tentativo di attacco nel quale sono rimasti feriti 7 militari.
“Hanno cercato di uccidermi”, ha detto Maduro in un intervento televisivo citato dalla stampa locale, accusando l’estrema destra del Venezuela e della Colombia, ovvero la parte politica più legata a Washington, oltre al presidente colombiano Juan Manuel Santos, come responsabili “di questo attacco”. “Non ho dubbi, è la sanguinosa ferocia dell’oligarchia colombiana, e sono sicuro che troveranno tutte le prove, ma i primi elementi di indagine puntano su Bogotà”, ha detto il capo di stato venezuelano.
Dopo il messaggio di Maduro, il governo colombiano ha respinto le accuse. “Queste accuse non hanno fondamento, il presidente colombiano si è dedicato al battesimo di sua nipote Celeste e non a rovesciare i governi stranieri”, ha detto la presidenza colombiana in un messaggio ai giornalisti. Maduro, presente con sua moglie Cilia Flores all’evento militare a Caracas, è stato prontamente rimosso dalle sue guardie di sicurezza dopo che una o due esplosioni, scrive la stampa locale, hanno scosso la capitale durante la cerimonia sulla Avenida. Dominguez ha confermato che Maduro “è incolume”.
L’attentato è stato ufficialmente rivendicato dal gruppo “Soldati in T-shirt”, tramite un tweet, anche se per gli inquirenti permangono alcuni dubbi sull’autenticità del messaggio in cui il gruppo dice, tra le altre cose, che tornerà a colpire e la prossima volta non fallirà.
Brasile, Lula sarà candidato del PT alle presidenziali di ottobre
Luiz Inacio Lula da Silva sarà il candidato ufficiale del Partito dei lavoratori (PT) alle presidenziali brasiliane di ottobre.
La decisione sarà ufficializzata oggi durante la riunione dei vertici del partito che punterà sul grande favorito sebbene questi si trovi ancora in carcere per corruzione e probabilmente proprio per questo non potrà presentarsi all’appuntamento elettorale.
L’ex presidente si trova infatti in carcere a Curitiba dal 7 aprile scorso dopo essere stato condannato in appello dal Tribunale Federale Regionale della 4a Regione (Trf)-4 di Porto Alegre lo scorso 24 gennaio a 12 anni e un mese di reclusione, in un processo nell’ambito dell’operazione “Lava Jato”, la cosiddetta “Mani Pulite” brasiliana.
Alla base delle accuse che hanno portato alla condanna dell’uomo che ha guidato la rinascita brasiliana nei primi anni 2000 un appartamento che sarebbe stato dato a Lula dal gigante delle costruzioni Oas, a cui l’ex presidente avrebbe garantito importanti contratti nella statale petrolifera Petrobras e in altre opere pubbliche.
In base alla legge carica “Fedina pulita” Lula non potrebbe prendere parte al voto ma tutti i sondaggi lo vedono in vantaggio ed il PT non vuole puntare su altri candidati. La candidatura di Lula sarà probabilmente bloccata dal Tribunale superiore elettorale (Tse), riferiscono i media locali, ma si tratta di un procedimento giudiziario che non è automatico, e provocherà molte incertezze sull’esito dell’elezione presidenziale. Inoltre, la mancata scelta di un vice nel tandem del Pt provoca ulteriori dubbi su come il Partito agirà in caso di ineleggibilità dell’ex presidente operaio.