Colombia: Duque e Petro al ballottaggio per la presidenza
Nel primo turno delle presidenziali colombiane tutto è andato come previsto, ovvero il favorito Ivan Duque, del Centro democratico, e il suo principale avverrsario Gustavo Petro, progresssiti, si sono guadagnati a sifdarsi nel ballottaffio del prossimo 17 giugno.
Duque, uomo scelto dagli ex presidenti Alvaro Uribe e Carlos Pastrana, ha sfiorato il 40 per cento dei consensi; Petro ha dovuto invece faticare più del previsto per arrivare al secondo turbo. Alla fine infatti ha ottentio 25% dei voti mentre il terzo arrivato, Sergio Fajardo, matematico, già sindaco di Medellin e della importante regione settentrionale di Antioquia, ha sfiorato il 24%.
Da segnalare che dopo 10 anni l’astenzione ha registrato un forte calo.
Salvo sorprese, attualmente difficili da immaginare Duque dovrebbe avere facile tra tre settimane.
La Colombia è un paese tradizionalmente posizionato a destra ed anche nel corso degli ultimi 15/20 i cui in tutto il continente indio-latino si è registrata una forte avanzata delle forze progresssite e socialisteggianti Bogotà è sempre rimasta su posizioni filo atlantiche e consevatirci.
Difficile quindi immaginare che in tre settimane Duque possa arrivare a dilapidare un vantaggio di ben 15 punti percentuali.
Colombia: in vista delle presidenziali chiusa frontiera con Venezuela
In vista delle presidenziali di domenica prossima la Colombia ha stabilito la chiusura della frontiera con il Venezuela. A partire da oggi, giovedì 28 maggio, chiundi rimarranno chiusi i 7 valichi di frontiera terrestri e fluviali con il Venezuela.
La misura è stata presa per garantire la sicurezza durante le operazioni di voto. Secondo il direttore del servizio immigrazione del ministero degli Esteri colombiano, Christian Krüger, la situazione critica del Venezuela ha costretto il governo nazionale ad adottare una misura diversa rispetto alla consueta chiusura dei confini nel solo giorno delle elezioni.
Sempre in vista delle elezioni chiusi anche i valichi di frontiera con l’Ecuador, il Perù e il Brasile, dalla mezzanotte di sabato alle 16 di domenica di pomeriggio.
Secondo i sondaggi il primo turno dovrebbe vedere il passaggio al ballottaggio del conservatore Ivan Duque e il candidato di sinistra Gustavo Petro. In un sondaggio realizzato dalla Guarumo per il quotidiano El Tiempo” e la testata “W Radio”, il 41enne avvocato Duque raccoglie il 37,6 per cento delle intenzioni di voto, con un solido margine di vantaggio su Petro, fermo al 24,2 per cento.
Duque è interprete di una linea politica che ha nel suo dna una revisione degli accordi di pace in senso più garantista per le vittime del conflitto. Senatore e avvocato di 41 anni, Duque non ha una storia politica consolidata e deve molto della sua corsa alla spinta data da Uribe, la cui popolarità è sempre alta: alle elezioni di marzo, pur ottenendo meno consensi del previsto, è stato il candidato più votato dell’intero parlamento.
Petro, ex sindaco di Bogotà ed ex militante di un gruppo ribelle, si è sin qui mostrato capace di raccogliere buona parte del malcontento che attraversa il paese per i casi di corruzione o per la sofferenza economica di alcuni settori della popolazione. La sua promessa di interventi in profondità nei meccanismi dell’economia e della politica – con una riforma costituzionale ad hoc – unito al suo passato da combattente dell’M-19 (formazione guerrigliera di sinistra attiva fino al 1990), lo fanno spesso accostare alla corrente neosocialista che attraversa la regione.
Ucraina, testato sistema missilistico Javelin
Le autorità militari ucraine hanno testato il sistema missilistico anti-carro Javelin consegnato dagli Usa all’inizio di maggio.
Lo ha annunicato il presidente ucarino Petro Poroshenko.
Da quanto si apprende il sistema Javelin, così come il sistema Stugna di produzione locale, sono stati testati presso un poligono delle Forze armate di Kiev, come precisato dal segretario del Consiglio nazionale per la sicurezza e la difesa Oleksandr Turchynov. “I sistemi Stugna e Javelin hanno distrutto con precisione gli obiettivi”, ha spiegato Turchynov.
Ufficialmente il sisterma di produzione nordamericana sarà utilizzato solamente a scopo difensivo, anche se con le sue dotazioni Washington si è scheirata apertamente dalla parte di Kiev nello scontro che vede il paese contrapposto alle repubbliche del Donbass, sostenute dalla Russia.
L’importo del contratto, che comprende 210 missili Javelin, 37 complessi anticarro e la formazione per i militari ucraini, dovrebbe attestarsi attorno ai 47 milioni di dollari. “I sistemi Javelin aiuteranno l’Ucraina a stabilire una capacità di difesa di lungo termine, per proteggere la sua integrità territoriale e la sovranità e per soddisfare le esigenze di difesa nazionale”, hanno precisato le autorità militari a stelle e strisce.
Usa-Nord Corea: Washington preoccupata da ruolo Pechino
La presunta influenza di Pechino sulla Corea del nord preoccupa Washington a tre settimane circa dal vertice di Singapore tra il presidente statunitense Donald Trump e il leader nordcoreano, Kim Jong-un, aspetto che secondo alcuni analisti nordamericani potrebbe mettere a rischio il possibile accordo per la denuclearizzazione della Penisola coreana e la progressiva riammissione di Pyongyang quale membro a pieno diritto della comunità internazionale.
In particolare a Washington temono che la visita effettuata da Kim Jong-un, l’8 maggio scorso, in Cina possa aver rafforzato l’asse con Pechino in funzione anti-Usa. A queste preoccpazioni si aggiungono i timori della Corea del sud che ha minacciato di boicottare l’attesissimo summit del prossimo mese, adducendo a pretesto le annuali esercitazioni aeree congiunte intraprese da Washington e Seul: esercitazioni che in occasione del summit inter-coreano del 27 aprile scorso, lo stesso Kim aveva affermato di essere pronto a tollerare, comprendendone le ragioni.
Il 17 maggio, lo stesso Trump ha di fatto avvalorato le voci secondo cui il presidente cinese Xi Jinping tirerebbe i fili della diplomazia nordcoreana in vista dell’importantissimo summit di Singapore. “Ricorderete che due settimane fa improvvisamente Kim Jong-un è tornato in Cina a salutare, per la seconda volta, il presidente Xi”, ha detto Trump giovedì scorso, durante una conferenza stampa a margine di un incontro con il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg.
Stando alle indiscrezioni, Trump avrebbe reagito con rabbia agli ultimi sviluppi, specie dopo aver constatato l’inflessibilità di Pyongyang a fronte della decisione di Washington di ritirare i propri bombardieri strategici dalle esercitazioni in atto nella Penisola coreana. Stando al “South China Morning Post”, Trump teme che il leader nordcoreano Kim Jong-un sia stato aizzato contro gli Stati Uniti dal presidente cinese XI Jinping: in questo senso, l’improvvisa decisione di Trump di aprire a una revoca delle sanzioni contro il colosso delle telecomunicazioni cinese Zte non sarebbe legato solo alle trattative commerciali in corso tra le due maggiori economie mondiali, ma anche al tentativo di convincere Pyongyang, tramite Pechino, a non vanificare i progressi degli ultimi mesi sul fronte della denuclearizzazione.
Venezuela: Maduro vince le elezioni ma l’astensione lo ridimensiona
Il 68% dei votanti ha rinnovato la fiducia al presidente venezuelano Nicolas Maduro, un dato importante ridimesionato però dalla forte astensionismo, si è infatti recato alle urne appena il 46% degli aventi diritti. In pratica Maduro ha ottenuto il consenso di appena un avente diritto su 3.
L’esito del voto non è mai stato in discussione, a fronte dei circa 6 milioni di voti ottenuti dal presidente uscente, il secondo arrivato, l’ex governatore di Lara Henri Falcon, si è fermato sotto 1,9 milioni di voti; terzo il predicatore evangelico Javier Bertucci con circa 900mila voti.
Appreso l’esito del voto il presidente Maduro ha invitato il paese a una nuova fase di dialogo. “A Henri Flacon, a Javier Bertucci, a tutti i leader dell’opposizione dico di riunirsi, incontrarsi e parlare del Venezuela. Li invito qui e prendo la responsabilità di questo appello”.
Falcon ha però già fatto sapere “di non riconoscere il processo elettorale” definendolo “illegittimo. Lo dico con responsabilità e non per questo uscirò domani dal paese”, ha detto il candidato sconfitto, uno dei pochi nomi di peso della scena politica venezuelana ad aver deciso di partecipare al voto, accennando alla strada dell’esilio intrapresa da altri oppositori. Falcon ha chiesto di riaprire un processo elettorale per “costruire una alternativa reale in grado di dare risposte ai venezuelani che oggi patiscono fame e malattie”.
Dopo mesi molto travagliati, seganti da crisi economica e politica, sarebbe auspicabile che per il Venezuela si aprisse una nuova fase ma purtroppo agenti esterni potrebbero impedirlo.
Diversi paesi delle regione Indiolatina già prima del voto avevano annunciato che non avrebbero riconosciuto l’esito del voto a causa dell’atteggiamento del governo venezuelano. L’auspicio però è che ora i nemici del venezuelano riconoscano comunque la vittoria di Maduro ed il capo dello Stato allo stesso tempo tenda una mano all’opposizione che ha disertato il voto ma che comunque continua ad avere la maggioranza in parlamento.
Perù: approvata legge per ergastolo e castrazione chimica per colpevoli di reati sessuali su minori
Il parlamento peruviano ha approvato un progetto di legge che prevede l’ergastolo ed eventualmente la castrazione chimica per i colpevoli di stupro di minori di 14 anni. Il Ddl è stato approvato in prima lettura con 67 voti a favore, 7 contrari e 23 astensioni. La castrazione sarà a discrezione del giudice.
La misura mira a rafforzare la repressione dei reati “contro la libertà e l’integrità sessuale”; un tema questo molto sentito nel paese tanto che nelle scorse settimane l’ex ministro della Difesa Jorge Kisic si era espresso a favore del reinserimento della pena di morte nel paese per i colpevoli di questo tipo di crimini, in particolare su minorenni.
La questione era tornata d’attualità in seguito alla notizia dello stupro di una bambina di sette anni a San Juan de Lurigancho (nord est di Lima), anche se il presidente della Corte suprema di Giustizia, Duberli Rodriguez, si era espresso affermando che non sarebbe “conveniente” ripristinare la pena di morte. Per farlo, ha ricordato Rodriguez, il Perù dovrebbe “abbandonare la convenzione della Corte interamericana dei diritti umani, e penso che legalmente ciò non sia conveniente”.
Ecuador avrebbe speso 5 milioni di dollari per Assange
L’Ecuador avrebbe speso 5 milioni di dollari in un’operazione di intelligence “per controllare e proteggere” Julian Assange, fondatore di Wikileaks, cui nel 2012 ha concesso lo status di rifugiato politico nella propria ambasciata di Londra.
Lo sostiene il giornale britannico “Guardian” che ha sostegno della propria tesi ha pubblicato alcuni documenti riservati inerenti questa operazione nome in codice “Operazione ospite”. Da quanto si apprende i fondi sarebbero stati utilizzati per pagare agenti sottocopertura, gli avvocati di Assange ed altri personaggi che hanno agito in questa vicenda.
I nomi di chi è entrato in contatto con l’informatico sono stati registrati in un elenco: vi figurano membri di gruppi nazionalisti europei, persone collegate al Cremlino, ma anche hacker, attivisti, avvocati, giornalisti e, segnala il Guardian, persino Nigel Farage, ex figura del partito britannico eurofobo Ukip e “campione” della Brexit. Secondo i documenti consultati dal quotidiano, l’operazione sarebbe stata convalidata da Rafael Correa, figura della sinistra sudamericana ed ex presidente dell’Ecuador fino allo scorso anno, oltre che dal ministro degli Esteri Ricardo Patino. Nel 2010, WikiLeaks ha pubblicato informazioni trapelate dal soldato statunitense Bradley Manning, che denunciava crimini di guerra commessi dalle forze Usa in Iraq e in Afghanistan, oltre a migliaia di documenti diplomatici segreti.
Negli utlimi tempo, stando ai più recenti rumors di stampa, il rapporto tra Assange e l’Ecuador si sarebbe deteriorato, anche a causa del cambio di amministrazione nel paese indiolatino tanto che Quito potrbbe a breve revocare lo status di rifugiato politico.
In febbrario il governo dell’Ecuador aveva confermato la sua volontà di mantenere la protezione internazionale sull’informatico australiano rifugiato a Londra. Quito annunciava la sua posizione dopo aver appreso che la giustizia britannica aveva confermato il mandato di arresto contro il fondatore di Wikileaks.
Venezuela: gruppo di Lima “sospendere presidenziali del 20 maggio”
Il governo di Caracas sospenda le elezioni presidenziali del prossimo 20 maggio. Questo l’appello rivolto oggi dai paesi del gruppo di Lima, quelli dell’America indio latina legati a Washington, alle autorità venezuelane.
In un comunicato emesso al termine dell’incontro celebrato a Città del Messico, si torna a denunciare il fatto che il voto sia stato convocato “da un’autorità illegittima, senza la partecipazione di tutti gli attori politici venezuelani, senza osservatori internazionali indipendenti e senza le garanzie necessarie per un processo libero, giusto, trasparente e democratico”. Nella nota, letta dal ministro degli Esteri messicano Luis Videgaray, si ripete la condanna al “regime autoritario” ritenuto responsabile di aver infranto “l’istituzionalità demomcratica, lo stato di diritto e il rspetto dei diritti umani”.
La riunione del gruppo è servita anche per “analizzare i possibil scenari e identificate una serie di azioni che si potrebbero prendere in maniera collettiva o individuale, sopo il 20 maggio, in ambito diplomatico, economico, finanziario e umanitario”.
Alla riunione erano presenti i rappresentanti di Argentina, Brasile, Canada, Cile, Colombia, Guatemala, Honduras, Messico, Panama, Paraguya, Perù e Santa Lucia. I lavori, ha segnalato la nota, sono stati però accompagnati dalla Spagna e seguiti in videoconferenza dal segretario di Stato Usa Mike Pompeo, oltre che da alti funzionari del dipartimento del Tesoro della casa Bianca.
Già in occasione dell’VIII vertice delle Americhe, diversi paesi, Argentina in primis, hanno annunciato che potrebbero non riconoscere l’esito del voto qualora non fossero cambiate le condizioni politiche nel paese.
Il Mud,il principale movimento di opposizione venezulano non parteciperà al voto per vari motivi tra cui la convocazione del voto in largo anticipo sulla tradizionale scadenza di fine anno, mentre la Costituzione stabilisce che l’insediamento del presidente avvenga a gennaio. Si accusa quindi l’Assemblea nazionale costituente (Anc) di aver dettato i tempi della convocazione, facoltà in mano al Consiglio nazionale elettorale (Cne), e si denuncia il poco tempo concesso alle opposizioni per organizzare la campagna elettorale, a fronte degli spazi di cui già gode il candidato governativo, il presidente Maduro.
Al voto, ricordano ancora le opposizioni, non potranno inoltre partecipare diversi leader cui sono stati revocati i diritti di elettorato passivo in base a denunce ritenute “pretestuose” dagli oppositori. A queste critiche si aggiunge il fatto che la data sia stata proclamata unilateralmente, al di fuori del dialogo di pace che si teneva a Santo Domingo, in assenza quindi di un accordo condiviso sulle procedure di voto.
Il governo difende la scelta segnalando che il voto è una misura per stemperare le tensioni nel paese e denuncia tutte le critiche provenienti da fuori del paese come una indebita intromissione negli affari interni del paese.
La giornata del 20 maggio servirà ad eleggere il presidente della Repubblica e i membri dei parlamenti dei 23 stati di cui si compone il paese.
Brasile, moderati alla ricerca di un candidato unitario
I moderati brasiliani continuano a ricercare un candidato unitario in vista delle presidenziali del prossimo ottobre. Lo ha ribadito il presidente Michel Temer nel corso di un’intervista ai media locali. Per il momento infatti il Movimento democratico brasiliano (Mdb), cui appartiene lo stesso Temer, è indeciso tra due diverse candidature, quella del capo dello Stato che però non ha un grande seguito nel paese, e Henrique Meirelles, ex ministro delle Finanze.
Secondo Temer però entro la fine di giugno il partito dovrebbe convergere su un nome unico.
Temer ha anche aggiunto di non voler scartare nessuna possibilità, neanche un eventuale appoggio all’ex governatore di San Paolo Geraldo Alckmin, candidato al Palazzo del Planalto per il Partito della social democrazia brasiliana (Psdb), con il quale emissari del presidente hanno già dato inizio a negoziati per una possibile alleanza elettorale.
A pochi mesi dalle elezioni comuinque mancano ancora candidature ufficiali di personaggi di rilievo. Tra i tanti nomi che circolano tra i moderati figurano il presidente della Camera, Rodrigo Maia, il senatore Alvaro Dias, l’imprenditore Flavio Rocha, l’ex presidente della Banca nazionale di sviluppo economico e sociale (Bndes), Paulo Rabello de Castro e anche l’imprenditore Joao Amodeo
Iraq: paese domani al voto. Per premier Abadi decisive per futuro paese
Le elezioni politiche si terranno domani, sabato 12 maggio, in Iraq saranno decisive per il futuro del paese e la direzione in cui questo si muoverà.
La ha detto oggi il premier iracheno Haider al Abadi in un messaggio diffuso alla vigilia del voto per il rinnovo del parlamento di Baghdad.
Alla vigilia delle elezioni il primo ministro ha anche ricordato i tanti iracheni morti dal 2014 al 2017 nella lotta contro i miliziani del sedicente Stato islamico. Ricordiamo, ha detto Abadi, “gli iracheni che hanno dato la vita per liberare il proprio paese”. Nel suo messaggio, il primo ministro iracheno si è soffermato anche sui “numerosi successi economici registrati di recente dall’Iraq”, in particolare nel settore petrolifero. A tal riguardo, Abadi ha evidenziato che il comparto del petrolio ha sperimentato uno sviluppo “significativo”, consentendo all’Iraq di divenire il secondo paese esportatore di greggio al mondo. Nello scorso mese di aprile, l’Iraq ha esportato circa 100,2 milioni di barili di petrolio, con rendite per più di 6,5 miliardi di dollari.
Le elezioni di domani riguiardano il rinnovo del parlamento con oltre 7mila candidati e oltre 300 tra partiti, coalizioni e liste; il tutto per appena 328 seggi.
Gli aventi diritto al voto in Iraq sono 24 milioni su una popolazione di circa 37 milioni di persone.