Argentina, aumentano le disuguaglianze sociali
Nell’Argentina ultraliberista di Mauricio Macri aumentano le disuguaglianze sociale.
Secondo gli ultimi dati infatti la metà degli argentini è sempre più costretta a scegliere se spendere soldi per il cibo o per i servizi di base. L’Istituto argentino di statistica e per i censimenti (Indec) nel suo ultimo rapporto ha infatti rivelato che nel terzo trimestre dell’anno che si è appena concluso il 10 per cento della popolazione più ricca ha ricevuto un reddito di 25,6 volte superiore a quello del 10 per cento della popolazione più povera.
Secondo l’Indec in questo momento gli argentini più poveri vivono con circa 1370 pesos, circa 80 euro, mentre quelli più ricchi con poco meno di 35 mila, circa 2100 euro. La metà degli argentini guadagna in media meno di 8 mila pesos, meno di 500 euro, al mese, una cifra non sufficiente a far fronte contemporaneamente alle spese per il paese, 320 euro al mese, e a quelle per i servizi di base, stimati in poco meno di 750 euro al mese.
Il paese indio-latino ha chiuso il 2016 facendo registrare una contrazione del Prodotto interno lordo (Pil) del 3,8 per cento solo nell’ultimo trimestre. Nello stesso periodo l’attività industriale è diminuita del 4,1 per cento mentre l’inflazione si è assestata al 40 per cento. Contemporaneamente sono stati varati aumenti nei servizi di gas, elettricità e acqua.
Durante la campagna elettorale per la sua elezione Macri aveva promesso che l’Argentina sarebbe diventato un paese a “povertà zero” ma subito dopo aver assunto la presidenza è tornato sui propri passi dicendo che quello è un obiettivo impossibile da raggiungere.
Durante i primi 12 mesi del suo mandato Macri ha realizzato un aumento delle tariffe energetiche del 500 per cento, scatenando il malcontento della popolazione, inoltre da più parti sono state denunciate violazioni dei diritti di migliaia di lavoratori pubblici e privati. Registrati numerosi licenziamenti di massa al contrario di quanto avveniva durante l’era Kirchner dove la crescita dell’occupazione stata una costante.
Da cinque mesi il tasso di occupazione nel settore privato è fermo con il settore pubblico che non riesce ad assorbire i disoccupati.
Uno dei primi provvedimenti assunti da Macri è stato quello di ottenere un prestito da 9,3 milioni di dollari dai fondi internazionali, riportando il paese sotto la scure dei creditori.
Dati alla mano la situazione si fa sempre più drammatica, tra dicembre e settembre hanno chiuso oltre 2 milioni di aziende, più della metà delle quali con oltre 100 dipendenti, secondo i dati del Centro per la politica economica Argentina (Cepa).
Politicamente Macri ha modificato o eliminato molte politiche sociali dell’era Kirchner, con risultati che infatti stanno riportando l’Argentina ai livelli del 2002 e del suo crack internazionale.
Libri. Quel ramo di pero fruttato di Salvatore Liguori
Il mito del Vangelo di Giuda, testo apocrifo non riconosciuto dalla chiesa ufficiale, torna a vivere nel romanzo “Quel ramo di pero fruttato” di Salvatore Liguori edito dalla Aracne.
Il testo è incentrato in particolare sul pontificato di Sisto V, nato Felice Peretti. Il pontefice, che prima di salire sul soglio di Pietro era stato inquisitore in Spagna, era venuto a conoscenza della presunta esistenza di questo libro, scritto in copto, la lingua dei cristiani d’Egitto, e come ultimo gesto della sua vita e del suo pontificato vuole trovare questo libro e bruciarlo destinandolo per sempre all’oblio in modo da non dare visibilità alcune alle parole, vere o false, del traditore per antonomasia. Per realizzare il suo scopo Sisto V incarica quindi il capo delle sue guardie svizzere e due fidati e preparati soldati di raggiungere l’Egitto, trovare il testo e portarglielo entro l’equinozio di autunno.
La voglia di recuperare e distruggere il testo è però l’escamotage utilizzato dall’autore per realizzare un romanzo storico quanto mai accurato e ben scritto in cui viene ripercorsa anche parte della storia del papato, in quello che peraltro è stato uno dei periodi più buoi della storia della Santa Sede, pregevole ad esempio il racconto del sacco di Roma avvenuto nel 1527 soprattutto per quanto riguarda i dolori e le sofferenze patite dalla popolazione.
L’autore si sofferma poi sulla figura di papa Peretti per ricordare il suo pontificato, cinque anni durante i quali il successore di Pietro fece del ristabilimento dell’ordine nello Stato della Chiesa una priorità ed incrementò l’attività agricola riuscendo anche a far prosciugare, seppur temporaneamente una parte delle paludi pontine. Decise anche un aumento di tasse e gabelle le cui entrate furono però utilizzate anche per incrementare le arti e le scienze e per sviluppare urbanisticamente Roma.
Parlare del vangelo di Giuda e della figura controversa di questo apostolo offre all’autore la possibilità di parlare del tradimento e dell’aspetto filosofico di questo. Se infatti il tradimento di Giuda faceva parte del disegno divino per la salvezza degli uomini perché in seguito la chiesa ha deciso di demonizzare l’apostolo? Inoltre se da una parte è vero che Giuda tradisce il suo maestro per 30 denari è anche vero che le stesse sacre scritture, anche se non tutte, riferiscono che subito dopo l’Iscariota si pente del suo tradimento e quindi per la dottrina cattolica chi si pente realmente non ha diritto al perdono divino? non a caso lo stesso dubbio che assilla anche il papa sul letto di morte ricordando la sua vita.
Libro ben scritto che fa sorgere nel lettore più di un interrogativo e che merita di essere letto senza preclusioni o preconcetti di sorta.
L’autore
Salvatore Liguori nasce a Sarno (SA) nel 1961. Laureato in Scienze Geologiche all’Università Federico II di Napoli con una tesi sperimentale in geotecnica, ha lavorato inizialmente come geologo presso studi professionisti, negli anni successivi ha svolto funzioni di analista e responsabile di progettazione presso importanti società di informatica italiane . Da alcuni anni è docente di Scuola Media Superiore,ed insegna Geografia, presso Istituti Tecnici e Turistici di Roma.
Quel ramo di pero fruttato – L’ultima impresa di papa Sisto V Felice Peretti (1585-150), Aracne editrice, pagg. 180, 15,00 euro
La Lazio batte il Crotone e avvia i festeggiamenti per i 117 anni
In un Olimpico stretto nella morsa del freddo la Lazio riceve il Crotone nell’ultima giornata del girone d’andata per dare inizio ai festeggiamenti al compleanno 117 della società capitolina che cade domani. Per sostituire i gioielli Anderson, squalificato, e Keita, impegnato con il Senegal nella Coppa d’Africa mister Inzaghi scegli il giovane Lombardi, che molto bene ha fatto sin qui e l’oggetto misterioso Luis Alberto.
Alla fine sarà Immobile, l’unico superstite del tridente delle meraviglie a regalare la vittoria alla squadra capitolina.
Dopo una prima fase di studio la Lazio inizia a spingere e proprio con il giovane Lombardi al minuto 17 trova il gol viziato però da una posizione di fuorigioco che porta l’arbitro, il signor Maresca, ad annullare la rete.
Al minuto 24 Lazio vicinissima al vantaggio con Parolo che libera al tiro Immobile dentro l’aera ma il portiere dei pitagorici, Festa, si supera e salva deviando in angolo.
Alla mezz’ora ancora il giovane Lombardi protagonista, l’arbitro infatti fischia un rigore per un presunto fallo subito dal giovane attaccante ma lo specialista Biglia centra la traversa.
Al minuto 37 il Crotone vicinissimo al gol con Falcinelli che però calcia centrale con Marchetti che d’istinto salva la sua rete. Due minuti dopo è il portiere dei calabresi a superarsi su un bel tiro da fuori area di Parolo.
Al minuto 58 capitolini ancora vicini al vantaggio con Milinkovic-Savic che su angolo di Biglia manda di poco alto. Al minuto 68 gol annullato per fuorigioco, con chiamata davvero al limite, a Rohden che poteva portare in vantaggio il Crotone.
Da segnalare al minuto 80 l’ingresso in campo, e il relativo esordio in A del giovane attaccante laziale classe ’97 Alessandro Rossi che in Primavera segna a raffica.
Al minuto 84 ancora un miracolo di Festa, in campo per la squalifica del titolare Cordaz, che salva ancora su Immobile.
Al minuto 89 dopo due mesi di astinenza torna la gol Immobile, 10 centri per lui fin qui, e Lazio premiata per il forcing prodotto.
Nei cinque minuti di recupero il Crotone prova a riequilibrare le sorti dell’incontro ma senza fortuna.
La Lazio chiude così il girone d’andata a quota 37, uno dei migliori risultati dell’era Lotito, solo Pektovic fece meglio nel 2012-13 con 39, e non è poco considerando che questa squadra è stata costruita in estate quasi per caso, Candreva ceduto ad agosto e sostituito, solo numericamente, l’ultimo giorno di mercato, Keita in vendita ma senza acquirenti e con Inzaghi confermato in panchina dopo che la società ha contatto una dozzina di allenatori di mezzo modo e con Bielsa che ha declinato a pochi giorni dall’inizio del ritiro.
La festa per i 117 anni della prima squadra della Capitale può iniziare.
Formazioni:
Lazio: Marchetti; Basta, De Vrij, Hoedt, Radu; Parolo, Biglia (80 Rossi), Milinkovic-Savic; Lombardi (77 Khishna), Immobile, Luis Alberto (80 Cataldi). All. Inzaghi. A disposizione: Vargic, Strakosha, Bastos, Wallace, Prce, Patric, Leitner.
Crotone: Festa; Sampirisi, Ceccherini, Ferrari, Martella; Rohden, Crisetig, Barberis; Stoian (51 Palladino), Falcinelli, Trotta (80 Rosi). All. Nicola. A disposizione: Cojocaru, Viscovo, Dussenne, Fazzi, Salzano, Nalini, Capezzi, Suljic, Ghahore, Simy.
In Messico nuove proteste contro aumento dei prezzi del carburante
Dopo quelle della scorsa settimana si svolgeranno oggi in Messico nuove proteste contro i previsti aumenti del prezzo del carburante stabiliti dal governo. Le opposizioni ed i manifestanti hanno annunciato che questa mattina occuperanno tutte le stazioni di servizio nella capitale, Città del Messico, situate tra la stazione metro di San Antonio lo stadio Azteca. sempre questa mattina si terrà poi una conferenza stampa presso la metropolitana di Villa Cortes per pubblicizzare le loro azioni ed avanzare le loro richieste al governo.
Carlos Cabrera, esponente di spicco del movimento che si oppone agli aumenti decisi dal governo ieri ha annunciato che una nuova grande manifestazioni si terrà sabato 7 gennaio.
Nei giorni scorsi il presidente Enrique Peña Nieto ha deciso che a partire dal prossimo 3 febbraio ci saranno aggiornamenti settimanali dei prezzi dei carburanti per renderli corrispondenti ai prezzi di mercato, una misura che secondo le opposizioni comporterà un pesante aggravio per le tasche dei cittadini. Anche la società dell’energia elettrica ha annunciato aumento dei proprio tassi nel corso del 2017.
Secondo le stime dei manifestanti il prezzo del carburante potrebbe aumentare fino al 20 per cento sia per la benzina che per il diesel, anche se Juan Pablo Castanon, presidente della Commissione per il ordinamento degli affari (Cce), ha parlato di dati in linea con il mercato e che traineranno l’inflazione perché “la liberalizzazione dei prezzi andrà nella giusta direzione” rilanciando l’economia.
Negli ultimi tempi il Messico ha perso parte della sua capacità di raffinare carburanti ed oggi vengono importanti 6 litri di carburante su 10. Commentando questi dati l’analista Gerardo Esquivel, dottore in economia presso l’Università di Harvard ha spiegato che questo “è il risultato di una politica energetica che ha portato il Messico ad importare carburante dall’estero piuttosto che raffinarlo in loco”.
Il fallimento di un’Europa che non ha saputo farsi comunità
A breve, per la precisione il prossimo 25 marzo, saranno festeggiati in pompa magna i 70 anni dei Trattati di Roma che istituirono quella che oggi viene chiamata Unione europea e che era nata per essere la copia sbiadita degli Stati uniti d’America proprio sotto la spinta di Washington.
Volendo tracciare un bilancio di questi 70 anni però si ha a che fare con un’esperienza del tutto fallimentare sotto tutti i punti di vista, soprattutto perché l’Unione, a differenza di quanto invece accaduto Oltreoceano, non ha saputo farsi comunità. Anche perché le condizioni di partenza erano diametralmente opposte tra loro.
Molte le ragioni di questo fallimento.
Innanzitutto le basi di questa Unione imposta dall’alto dai vincitori della II Guerra mondiale al Vecchio continente erano puramente economiche e finanziarie; i Trattati di Roma infatti certificavano la nascita della Cee, ovvero della Comunità economica europea, anni dopo evolutasi nel Mec, Mercato comune europeo, diventata poi negli ultimi 20 anni Ue, Unione europea. Fin dalle origini quindi era lampante che intento dei “padri costituenti” non era quello di riunire in una sola comunità popoli e paesi che per più di 2 mila erano stati in guerra tra loro, ma solo realizzare un vasto spazio economico dove le principali industrie europee e le multinazionali a stelle e strisce potessero smerciare i loro prodotti senza troppi vincoli o problemi.
Oggi la Ue nei confronti dei singoli stati che la compongono, 28 anche se a breve la Gran Bretagna dovrà avviare le procedure per l’uscita dopo l’esito di un referendum interno svoltosi lo scorso 23 giugno, si comporta come un severo revisore dei conti che controlla ed autorizza le singole spese elencate nei bilanci nazionali facendo sì che lo Stato sociale, un tempo fiore all’occhiello di paesi come l’Italia, la Francia e la Germania, sia sempre più traballante.
Questa situazione ovviamente ha determinato un malcontento diffuso in vasti starti della popolazione aggravato poi dalla cosiddetta crisi dei migranti portando al rafforzamento dei movimenti politici populisti o nazionalisti, ovvero quelli che si prefiggono la difesa della comunità nazionale a scapito di quella internazionale.
Come anticipato sopra la Cee fu istituita per volontà degli Usa. A ben guardare però il risultato è molto diverso. Pur con tutte le critiche che si possono, e si devono, muovere a Washington, sia da un punto di vista politico, militare ed economico che sociale, va però detto che Oltreoceano i politici statunitensi sono riusciti a creare una comunità con una storia, una lingua ed una cultura condivisa, seppur limitata agli ultimi 200 anni. Ad essere diverse erano però le basi.
Prima della creazione degli Usa non esistevano nazioni chiamate a rinunciare alla loro sovranità, alla loro lingua ed alla loro cultura. Esistevano, escludendo i nativi americani, gruppi di immigrati che si erano uniti in piccole comunità ma che con il tempo si fusero con altre dando vita così ad una entità statuale superiore.
Gli Usa provarono a replicare questo progetto subito dopo la guerra anche se partendo da basi molto differenti. Un’Europa unita infatti serviva a creare un fronte comune con cui contrastare l’Unione sovietica che ad est stava cercando di creare una comunità basandosi sul comunismo e la dittatura stalinista.
Con il tempo l’Unione europea è divenuta, anche se forse lo ora fin dal progetto originario, il terreno su cui testare la globalizzazione economica finanziaria. Riforme di vari tipo e direttive turbo-liberiste, su tutte la Bolkenstein hanno abbassato i salari dei lavoratori e via via eroso i loro diritti.
In nome della globalizzazione, e con la scusa di creare una nuova e più moderna comunità, di fatto è stato cancellato tutto ciò che avrebbe potuto rendere popolazioni tanto diverse un gruppo coeso dove le differenze erano alla base dell’unità.
Essendo l’Europa il Vecchio continente è ovvio che tutti i popoli che lo compongono, anche quello italiano che ha vissuto per più di mille anni diviso in varie entità statuali e spesso soggetto a dominazioni straniere, siano riuscite a rimanere una comunità difendendo la propria cultura, la propria religione e la propria lingua. L’Unione europea invece punta ad annullare tutte le differenze tra i popoli europei in nome della globalizzazione e del politicamente corretto ed annullare tutte le differenze culturali.
Un esempio di ciò si è visto ampiamente con tutta la battaglia della comunità arcobaleno per il riconoscimento delle coppie gay e dei loro diritti. Dopo che le prime nazioni hanno iniziato a legalizzare le unioni tra persone dello stesso sesso i paesi che si opponevo al loro rinascimento, ad esempio l’Italia per via della sua tradizione cattolica, sono state messe sotto accusa al grido di “ce lo chiede l’Europa”, fino a quando anche il nostro parlamento non ha dato il proprio via libera alla legalizzazione di questi rapporti affettivi.
Peccato che la stessa premura non venga utilizzata con altri aspetti. L’Italia infatti voleva mettere nei trattati europei la matrice cattolica del Vecchio continente, un aspetto che accumuna i paesi europei e che avrebbe offerto un terreno su cui realizzare una comunità. Alla fine questa proposta è stata lasciata cadere per non indispettire quella piccola minoranza che segue una religione diversa.
Questa Europa imposta dall’alto sulla pelle dei cittadini ha inoltre fallito perché tra vincoli, trattati, direttive ed altro ha cancellato l’autodeterminazione dei popoli.
Oggi infatti le singole nazioni prima di poter varare una legge di qualsiasi tipo devono infatti rispettare i paletti imposti da Bruxelles con la conseguenza di allontanare ancora di più i cittadini da questa Europa. E proprio l’omologazione forzata delle economie dei 28 su basi diverse da quelle proprie all’Europa ha determinati uno dei principali fallimenti dell’Unione.
In nome della globalizzazione e dell’omologazione economica, che secondo la vulgata sono le fondamenta per rendere efficiente e funzionale l’Unione europea, sono state imposte le regole stilate dalla Banca mondiale e dal Fondo monetario europeo, ovvero di due dei principali strumenti ideati ed utilizzati da Washington in un ottica di dominazione globale. In nome del libero mercato infatti sotto la spinta degli Usa gli stati europei vengono sempre più forzatamente portati ad accettare misure economiche estranee al loro contesto, ciò di fatto comporta uno snaturamento degli stati stessi che perdendo la propria identità eliminano quell’assistenzialismo che per anni era stato alla base del comunitarismo di quei popoli.
Altra grande e dannosa forzatura dell’Unione europea è poi quella relativa alla politica estera.
Se da un lato per farsi davvero comunità l’Europa in tema di politica estera deve necessariamente parlare una sola lingua e pur vero che troppo spesso Bruxelles ha riposto in un angolo i principi del dialogo di civiltà. Negli anni passati infatti anziché cercare il dialogo l’Europa ha letteralmente abusato dello strumento delle sanzioni economiche in particolare contro l’Iran e la Russia, sanzioni ovviamente decise a Washington.
L’unico risultato ottenuto da queste sanzioni è però stato quello di danneggiare le economie dei singoli paesi che hanno perso importanti sbocchi per le loro merci oppure hanno dovuto importare materie prime o altri prodotti da paesi non sottoposti a sanzioni magari sborsando più di quanto fatto in precedenza.
Va poi aggiunto che nonostante le sanzioni all’Iran, mentre la gran parte dei paesi europei ha rispettato i diktat atlantici, Germania e Francia hanno continuato a produrre nel paese persiano lavatrici ed automobili, minando così le fondamento di una comunità che fatica a realizzarsi ed anzi ampliando le diffidenze tra i singoli popoli europei.
Alla luce di quanto esposto sopra si evince quindi facilmente che l’Unione europea, che è stata presentata ai cittadini del Vecchio continente come la panacea di tutti i mali che avrebbe messo fine alle guerre tra i popoli, ha fallito proprio perché non ha saputo farsi comunità. Eppure proprio l’intento di dar vita ad una comunità era il fine annunciato agli europei 70 anni fa.
Dar vita ad una comunità però significa rispettare le diversità delle parti in causa sia a livello culturale, linguistico, antropologico economico e non solo. Creare una comunità priva di diversità annullando le singole identità statuali ed individuali significare omologare tutto e tutti e realizzare un qualcosa che nulla ha a che vedere con l’essere una comunità.
Mentre gli eurocrati ed i radical-chic si occupano di integrare gli immigrati che si riversano in Europa dal Nord Africa e dal Vicino e Medio Oriente incendiati dalle guerre atlantiche, a Bruxelles continuano a sottovalutare la necessità di unire davvero il Vecchio continente su basi comunitarie ed identitarie.
Oggi l’Europa appare ad un bivio, da un lato continuare a sottovalutare il fallimento di un Unione costruita su basi fragili che continuano a mettere i popoli uno contro l’altro, dall’altro compiere una seria e duratura inversione di rotta e creare una nuova comunità. Un’ipotesi che però a Bruxelles e dintorni non appaiono minimamente intenzionati a prendere in considerazione perseverando nei loro errori e nei loro fallimenti.