Fabrizio Di Ernesto

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Monthly Archives: luglio 2014

I furbetti della targa straniera

L’Italia sta diventando sempre di più un paese multietnico e ce ne accorgiamo nella vita di tutti i giorni. Anche quando siamo fermi nel traffico cittadino è possibile notare un vertiginoso aumento delle vetture dotate di una targa straniera.

Se in molti casi si tratta di turisti venuti ad ammirare le bellezze del Belpaese o di stranieri che si sono da poco trasferiti nei nostri confini in cerca di fortuna, in molti altri casi si tratta invece di veri e propri furbetti della targa che pur vivendo e risiedendo nelle nostra città da molti anni continuano a guidare vetture immatricolate all’estero per avere tutta una serie di vantaggi economici.

Questo fenomeno riguarda sempre più auto costose e di grande cilindrata che non iscritte nel Pra, pubblico registro automobilistico, sono quasi dei fantasmi che vagano per le nostre strade e che, in caso di violazioni del codice stradale, non possono nemmeno essere multate, soprattutto per quanto attiene alla copertura assicurativa.

Queste automobili infatti non soggette ai normali controlli per la sicurezza stradale, tagliando assicurativo in regola in primis, e secondo perché lasciano spazio ai “furbetti” che non sono soggetti alle sanzioni previste dal codice stradale. L’eventuale multa infatti deve essere fatta dagli organi preposti in flagranza e la somma dovuta riscossa in contanti. Nel caso il guidatore ne sia sprovvisto scatta il fermo del veicolo.

Questa però è solo la punta dell’iceberg visto che i conducenti e proprietari delle auto con targhe straniere non pagano il bollo auto né gli elevati premi assicurativi in caso di possesso di auto di grossa cilindrata, non subiscono la revoca o sospensione della patente né la sottrazione di punti e di conseguenza non pagano la sanzione amministrativa, passano praticamente inosservati sotto le telecamere di Tutor, ztl e autovelox.

Ciò ha ripercussioni anche in caso di incidente con una vettura “italiana” visto che chi ne rimane vittima è poi costretto a rivolgersi all’Uci, l’ufficio centrale italiano, creato nel 1953 nell’ambito del sistema della carta verde. Questo, nello specifico, si occupa di gestire le problematiche relative al risarcimento dei danni causati sul nostro territorio da veicoli immatricolati o registrati in Stati esteri che circolano temporaneamente nella Penisola e, con alcune particolarità, anche degli incidenti subiti all’estero da veicoli italiani.

 

La normativa

Per carità, circolare in un paese straniero con la propria auto è più che legittimo e per farlo basta appunto la già citata carta verde, ovvero il tagliano allegato all’assicurazione auto che ci “copre” quando siamo all’estero, ma questa circolazione è permessa solo per un determinato periodo.

Su questo l’articolo 132 del codice della strada è eloquente e non lascia spazio ad interpretazioni: un veicolo immatricolato all’estero può tranquillamente circolare in Italia ma per un tempo massimo di un anno dopodiché il proprietario dovrà provvedere a fra registrare il veicolo presso i nostri enti ottenendo una targa “italiana” ed adempiendo a tutti gli altri obblighi.

Da quando però sono state abolite le frontiere non ci sono più organi o persone preposte a registrare l’ingresso di vetture o persone nei nostri confini quindi determinare il tempo di permanenza è diventato pressoché impossibile anche se, sempre l’articolo 132, suggerisce che nel caso il proprietario della vettura abbia stabilito la propria residenza in Italia da almeno un anno anche la vettura si presente nel nostro territorio dallo stesso lasso di tempo. A quel punto dovrebbe essere il proprietario a dimostrare che la sua vettura circola in Italia da meno di 12 mesi.

 

Una moda contagiosa

Insomma, circolare con una targa straniere conviene e gli italiani, denunciano alcune associazioni di consumatori, hanno iniziato a seguire questo esempio.

Ma se si risiede in Italia come si fa? Semplice basta utilizzare un prestanome, che può essere un amico o un parente residente all’estero, che si intesti una qualsiasi vettura e poi la lasci condurre ad un altro ed il gioco è fatto. Altri hanno invece a fatto immatricolare all’estero le loro vetture aziendali e gli altri mezzi di trasporto che utilizzano per la loro attività commerciale.

Il tutto con beffa per gli automobilisti diligenti e le casse dello Stato.

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Bonvicini: “Voglio diventare un cantante mondiale”

Da poco è uscito 2UE il secondo album da solista di Marco Bonvicini giovane cantautore poliglotta che sogna un futuro a respiro globale. Lo abbiamo incontrato per parlare del suo ultimo lavoro e dei suoi progetti futuri

2UE è il suo secondo album da solista che sta riscuotendo un buon successo. Ce ne può parlare?

2UE è un disco semplice, minimalista ma con un grande contenuto di “me stesso”. Sono tutte composizioni istintive, dettate dalle esperienze e dalle emozioni vissute negli ultimi anni, senza schemi ne progetti a tavolino. E’ anche la scommessa di voler raggruppare tutte quelle canzoni che, anche se musicalmente non sempre affini tra loro, mi avrebbero portato, in un altro momento, ad essere racchiuse in due diversi dischi.

Con questo disco mi sono anche voluto divertire nuovamente ad essere protagonista, non solo nella scrittura di musiche e liriche, ma anche nell’eseguire, oltre alle parti vocali, tutte le parti di chitarra ed i vari arrangiamenti di piano e tastiere. In molti casi, poi, ho voluto ospitare altri amici musicisti per condividere con loro questo percorso.

Come mai la scelta di cantare in due lingue? Esterofilia o voglia di raggiungere una platea sempre più vasta?

La verità sta nel mezzo….o per meglio dire, entrambe le cose…. D’altronde questo è uno dei motivi per cui questo disco si chiama 2UE. La mia estrazione/ispirazione è prettamente estera, Gran Bretagna in primis, ma fondamentalmente ho deciso che ciò che avessi “partorito” in italiano rimanesse così e viceversa, sempre per essere coerente riguardo alla scelta di lasciare più naturale possibile il marchio di questo lavoro. Inoltre non nascondo che mi piacerebbe che le mie canzoni potessero uscire dai confini italiani e venissero scoperte anche nel resto dell’Europa, del mondo…

Tra il suo primo album uscito nel 2004 ed i successivo uscito nel 2013 sono passati quasi 10 anni. Come ha impiegato questo tempo?

Spesso, quando si parla di lavori discografici di “emergenti” o comunque non (ancora) professionisti, la distanza tra le uscite discografiche è anche dettata dall’effettiva possibilità di potersi produrre un disco, quantomeno registrarlo a dovere. Nel mio caso c’è da dire che nel corso degli anni, dal 2006 in particolare, ho partecipato anche ad altri progetti, come la fondazione di una Art Rock Band di nome MantriKa con cui ho, nel frattempo, comunque prodotto 3 dischi. 2UE era, ed è, talmente personale che ho proferito venisse pubblicato a mio nome.

Sta lavorando al suo prossimo tour. Cosa rappresenta per lei il contatto con il pubblico?

Il vino viene prodotto per essere gustato e non per rimanere per sempre in una bottiglia…. Il contatto col pubblico per me è, prima di tutto, il riscontro diretto della mia musica e di me come musicista, l’importanza di poter far conoscere la mia arte, di farmi sentire e cercare di condividere e far percepire alle persone tutta la passione che ci ho messo e che ci metto. Inoltre è una grande carica energetica. Ogni volta è come un esame diverso per cui si è studiato tanto, la gara dopo tanto allenamento. In pratica è linfa che ti da ogni volta sempre più forza per crescere.

Anche per il suo terzo album dovremo aspettare dieci anni o sta già lavorando ad un nuovo lavoro?
Se devo essere sincero il materiale non manca. Il tour e le esperienze già maturate con il lavoro di 2UE mi hanno continuato a dare ispirazione compositiva ma volutamente rimane tutto fermo in un cassetto per poter concentrarmi, adesso, su questo progetto. Non credo che aspetterete tanto per il terzo disco, molto dipenderà dagli eventi futuri.

Mostra di Venezia: si scaldano i motori

Presentata in pompa magna nella Capitale la 71sima mostra del cinema di Venezia, che aprirà i battenti il 27 agosto e consegnerà gli ambiti leoni il 6 settembre.

Come sempre la rassegna fornirà pellicole provenienti da tutto il mondo mentre per quanto concerne l’Italia tre saranno i film in gara: Il giovane favoloso di Mario Martone, che si è ispirato alla figura di Giacomo Leopardi, Anime nere di Francesco Munzi e Hungry Hearts di Saverio Costanzo con Alba Rohrwacher. A questi va poi aggiunta la pellicola Pasolini di Abel Ferrara che tra gli interpreti può vantare Valerio Mastrandrea e Willem Dafoe.

Fuori concorso il cinema tricolore sarà rappresentato dal nuovo docufilm La trattativa di Sabrina Guzzanti, da La zuppa del demonio di Davide Ferrario e da Perez di Edoardo De Angelis.

Ad aprire ufficialmente la kermesse sarà il film di Alejandro Inarritu, Birdman or The Unexpected Virtue of Ignorance, pellicola con un cast quanto mai ricco che spazia da Michael Keaton a Zach Galifianakis, passando per Edward Norton, Emma Stone e Naomi Watts. A far calare il sipario sarà invece Huangjin Shidai (The Golden Era) di Ann Hui, presentato fuori concorso.
Leone d’oro alla carriera a stelle e strisce visto che quest’anno andranno alla montatrice Thelma Schoonmaker e il regista e al documentarista Frederick Wiseman. Ecco la lista completa dei film presenti nella selezione ufficiale della Mostra del Cinema di Venezia 2014: The Cut di Fatih Akin, A Pigeon Sat on a Branch Reflecting on Existence di Roy Andersson, 99 Homes di Ramin Bahrani, (Tales) di Rakhshan Bani-Etemad Ghessha, La rancon de la gloire di Xavier Beauvois, Hungry Hearts di Saverio Costanzo, Le dernier coup de marteau di Alix Delaporte, Pasolini di Abel Ferrera, Manglehorn di David Gordon Green, Inarritu Birdman or the Unexpected Virtue of Ignorance di Alejandro Gonzalez, 3 coeurs (Three Hearts) di Benoit Jacquot, The Postman’s White Nights di Andrei Konchalovsky, Il giovane favoloso di Mario Martone, Sivas di Kaan Mujdeci, Anime nere di Francesco Munzi, Good Kill di Andrew Niccol, Loin des hommes di David Oelhoffen, The Look of Silence di Joshua Oppenheimer, Nobi (Fires on the Plain) di Shinya Tsukamoto e Red Amnesia di Wang Xiaoshuai.
Grande attesa tra gli addetti ai lavori per una miniserie Hbo, la prima volta al Lido, intitolata Olive Kitteridge e firmata da Lisa Cholodenko, con Bill Murray, tutte le quattro puntate saranno proeittate lunedì 1 settembre.

Italiani presenti anche nella sezione Orizzonti: Nessuna pietà di Michele Alhaique con Pierfrancesco Favino presente anche nella veste di produttore, Franco Maresco con Belluscone, una storia siciliana e Renato De Maria con La vita oscena. Oltre ai lungometraggi, in Orizzonti verranno proiettati anche 12 cortometraggi provenienti da tutto il mondo. Inoltre, al Festival saranno presentati documentari che raccontano il cinema: un chicca, quello del cinema italiano visto da Giulio Andreotti, politico dai mille difetti ma dalla grande cultura.

Intervista con Tanja Miščević

Abbiamo incontrato Tanja Miščević, capo delegazione serba per i negoziati per l’adesione del paese slavo alla Ue. Abbiamo approfittato dell’occasione per capire meglio a che punto sono le trattative tra le due parti, quali vantaggi porterà l’ingresso di Belgrado nei palazzi di Bruxelles e Strasburgo e quale ruolo sta svolgendo e continuerà a svolgere la giovane Repubblica in un’area strategica e delicata come quella balcanica.

 

A che punto sono le trattative tra Ue e Serbia per l’adesione di questa all’Unione?

Le trattative sono molto avanzate e procedono molto bene. I primi passaggi formali sono già stati fatti, abbiamo già superato un primo screening fatto dalla Ue e contiamo di riuscire a sfruttare al meglio il semestre di presidenza italiana per sfruttare i rapporti di amicizia con il vostro paese per dare un decisa accelerata a questi passaggi. Abbiamo però molti Capitoli aperti, ma la nostra intenzione è quella di chiuderne il maggior numero possibile entro i prossimi mesi. Il nostro obiettivo è entrare a far parte dell’Unione entro il 2020. Ora stiamo definendo i Capitoli 23 e 24 che ci stanno molto a cuore.
Cosa offre la Serbia all’Europa?

Noi siamo un piccolo grande paese che può offrire all’Europa lavoratori specializzati ed un mercato in espansione che può garantire nuove opportunità agli investitori. Inoltre possiamo vantare tutta una serie di accordi bilaterali con paesi terzi che possono permettere ai nostri partner commerciali e politici di esportare eventualmente i loro prodotti in paesi come la Russia e i suoi partner ottenendo grandi vantaggi economici. Non va poi dimenticato che noi siamo il confine dell’Europa e quindi abbiamo molto da offrire anche per quanto riguarda la lotta all’immigrazione, alla criminalità ed al terrorismo.

 

Quali sono i maggiori ostacoli alla vostra adesione all’Unione europea?

C’è un po’ di tensione per quanto riguarda il Kosovo. Per la noi la normalizzazione dei rapporti con Pristina è una priorità, ma il governo di Belgrado non ne riconoscerà mai l’indipendenza, anche se il Capitolo 35 del negoziato è solo uno dei tanti sul tavolo.

Complicazioni diverse sono poi fornite dalla crisi economica che sta rallentando il raggiungimento di alcuni obiettivi in chiave Ue. Dobbiamo poi rivedere alcuni aspetti dei nostri ordinamenti ma nulla che possa precludere il nostro ingresso nell’Unione.

 

Una volta entrata nella Ue che ruolo potrà avere la Serbia nei Balcani?

Essendo il paese più grande dell’area svolgiamo già un ruolo guida nella regione. Noi siamo disponibili a mettere a disposizione della Bosnia, del Montenegro e di tutti i nostri vicini la nostra esperienza in questo percorso di avvicinamento alla Ue.

Pierluigi Felli e Il ritorno del camerata

A più di dieci anni di distanza dal fortunato “Camerata addio”, Pierluigi Felli riporta in vita il personaggio del mercenario bianco Sante Corbara, detto Barabba, nelle pagine de “Il ritorno del camerata” (edizioni drawup).

Se nel primo episodio la vicenda era ambientata nel passato, per la precisione nel sottobosco neofascista dell’Italia anni 70, questa volta lo scrittore si proietta nel passato per l’esattezza nel Sultanato di Sabaudia, non più Italia, del 2021.

Avevamo lasciato il protagonista moribondo nella Spianata delle Anatre zoppe in Zimbabwe il 4 giugno 1981e lo ritroviamo uscito dal coma a Latina 40 anni più tardi. Dopo due anni di fisioterapia a Sacramento, il protagonista fa ritorno nella sua amata a Littoria dove deve recuperare 40 anni di storia per tornare davvero a vivere. Lo aiuterà in questa impresa un suo vecchio camerata, forse un alter ego letterario dello scrittore?, che selezionerà appositamente per lui vari articoli di giornale, spesso in contrapposizione storica ed ideologica tra di loro, per aggiornarlo sui fatti principali accaduti in questi quattro decenni.

Ma ad essere cambiato, nella versione dell’autore pontino, non è solo il mondo ma l’Italia stessa e soprattutto la sua Latina e la vicina Sabaudia, divenuta nel frattempo un Sultanato indipendente, in mano ai Sikh e abitato esclusivamente da extracomunitari.

E proprio la nuova entità geografica è al centro della vicenda visto che lì si daranno battaglia gli estremisti di destra dell’Esercito dei 100 Samurai, i lealisti del F.E.R.T., i tradizionalisti cattolici della Lacrima Christi e i padani della Serenissima Flotta tutti intenti a liberare la città pontina dallo straniero, riconsegnandola di conseguenza al Fascismo che l’ha fondata e ai monarchici ed ai veneti che per primi l’hanno abitata.

Come nello stile dell’autore il testo è anche infarcito di elementi autobiografici e la storia non è che un mero espediente narrativo utilizzato per esprimere pensieri a ruota libera. In particolare appare evidente il confronto tra i fascisti degli anni di piombo e quelli del terzo millennio, con i primi, solo per citare un esempio, che si autotassavano per avere le loro sedi mentre oggi anche a destra è consuetudine occupare stabili come da sempre fanno a sinistra.

Al grido di “si stava meglio quando si stava peggio” Felli traccia un ritratto negativo dell’Italia attuale, sempre più diversa da quella tradizionale in un libro che merita di essere letto, anche per via di un finale inatteso e sorprendente che lascerà il lettore spiazzato.

 

P. Felli – Il ritorno del camerata – Edizioni Drawup – pagg. 106 – 10,00 euro

Gli interessi italiani dopo la Primavera araba

Data la conformazione geografica dell’Italia il nostro paese ha sempre cercato di sviluppare importanti e fruttuosi rapporti economici e politici con gli Stati del bacino nordafricano. Fino a tre anni fa Roma era, insieme a Parigi, uno degli interlocutori privilegiati di quelle nazioni, anche se ora in seguito alla Primavera araba le cose sono cambiate ed in peggio per l’Italia.

Il caso più emblematico è sicuramente quello relativo alla Libia, dove un lavoro certosino durato circa 40 anni aveva creato una vera e propria corsia preferenziale nei rapporti con la nostra ex colonia, nonostante un atteggiamento molto ondivago da parte dell’ex raìs libico Gheddafi.

Oggi l’Italia sta cercando di ritagliarsi la sua fetta di commesse nella difficile ricostruzione del paese, anche se Francia e Inghilterra stanno facendo la parte del leone in materia con i nostri interessi economici che rimangono saldamente legati all’Eni ed al petrolio, anche se la bilancia commerciale non è molto positiva, o quanto meno non lo è più come tre anni fa.

Lo scorso anno, tanto che per capire la situazione, l’Eni ha chiuso il bilancio in forte calo pagando soprattutto le interruzioni della produzione in Libia, oltre che in Nigeria. A penalizzare il gruppo del Cane a 6 zampe i forzati disinvestimenti nei giacimenti libici.

Il governo Letta più che sul petrolio aveva provato a rilanciare gli interessi italiani nel settore dei servizi. L’ex presidente del Consiglio infatti aveva messo nel miro la stabilizzazione delle istituzioni, sicurezza, controllo delle frontiere e dei flussi migratori con un duplice intento: gestire l’emergenza migratoria e investendo i nostri militari impegnati nelle missioni Nato di compiti rilevanti per acquisire prestigio e attenzioni da parte del Palazzo di Vetro. Il cambio di vertice a Palazzo Chigi potrebbe ora cambiare nuovamente le nostre priorità nella ex quarta sponda anche se per il momento azzardare previsioni appare difficile.

Anche con il martoriato Egitto, cui la Primavera non sembra ancora finita, i nuovi rapporti commerciali e politici sono tutti da scrivere anche se da Il Cairo continuano ad arrivare rassicurazioni in merito alla volontà di collaborare con noi.

Non a caso Nabil Fahmy ha scelto il nostro paese come prima tappa del suo tour europeo lo scorso febbraio ribadendo la volontà di avere Roma come principale partner commerciale in riva al Nilo.

Sebbene gli scambi commerciali tra le due sponde del Mediterraneo siano ora altalenanti, relativi soprattutto ad alcuni acquisti bellici da parte del paese nordafricano, lo scorso anno è stato avviato un piano di programmazione industriale e commerciale che nelle intenzioni dovrebbe fungere come piattaforma di lancio sia verso l’Europa sia verso il resto del mondo arabo. Lo sforzo dei due paesi in merito è ben evidenziato dalla creazione del marchio “Egyptaly”, un nuovo codice di garanzia per un sistema di interscambio e produzione di beni, servizi e attività culturali, che prende vita dalla condivisione degli obiettivi delle due nazioni.

In via di normalizzazione i rapporti economici e commerciali con il Marocco. Attualmente nel paese nordafricano operano quasi 150 imprese tricolore che hanno complessivamente settemila dipendenti e circa 1 miliardo di euro di fatturato annuo. Numeri ben lontani da quelli realizzati dalla Francia che ha in loco circa 1000 imprese, oltre 115mila dipendenti e 24 miliardi di fatturato ma non va dimenticato che tra Parigi e Rabat esistono forti legami culturali e politici.

Oggi il Marocco è diventato uno dei principali paesi dell’area anche grazie alla sua crescita, favorita anche dalla depressione degli altri Paesi nordafricani investiti dalla cosiddetta “Primavera araba”, che ha dirottato gli investimenti stranieri a Rabat. Il Marocco, inoltre, sta diventando un punto nevralgico nella geografia dei trasporti del Mediterraneo grazie al Tanger Med, un porto situato in una posizione strategica che continua a crescere ed erodere il traffico di altri porti mediterranei, tra i quali quello di Gioia Tauro in Calabria.

Dal 2000 al 2012 l’export italiano nel Paese è cresciuto del 90%; le esportazioni riguardano soprattutto macchinari e mezzi di trasporto, con una percentuale del 37,5%. Tra i fattori che hanno favorito la crescita di questo rapporto sicuramente la crisi libica con il paese maghrebino che è culturalmente e geograficamente vicino e con il quale non abbiamo rivalità storiche né rapporti problematici con esso; anche se un forte freno è rappresentato da sistema burocratico-istituzionale locale, non in grado di offrire un adeguato supporto alle imprese che desiderano investire in Marocco.

Grande interesse tra gli investitori italiani suscita anche il mercato algerino che secondo l’ex presidente del Consiglio Mario Monti potrebbe essere un’ottima occasione per aiutare l’economia italiana ad uscire dalla crisi.

Dal 2012 il nostro paese è il primo partner commerciale dell’Algeria anche grazie a numerosi investimenti nel campo dell’energia, delle rinnovabili, della difesa e delle infrastrutture; con il nostro paese che ha saputo porsi come un partner privilegiato per fungere da porta verso l’Europa per lo stato nordafricano.

Nelle intenzioni del presidente algerino Bouteflika e del suo governo Roma dovrebbe porsi al fianco di Algeri in qualità di sponsor per promuovere lo sviluppo economico del paese su una linea di diversificazione rispetto alla grandissima dipendenza attuale dalle risorse energetiche. Il tutto ovviamente andando anche a premiare i nostri investimenti in loco e tutta la nostra economia.

La Primavera araba che ha sconvolto i paesi del nord Africa è visto dai nostri imprenditori una occasione per fare nuovi affari e stringere nuove alleanze anche se la strada della ricostruzione in alcuni di questi Stati appare ancora in salita e potrebbe frenare ulteriormente la nostra ripresa economica.

Fatturato record per i crimini ambientali

213 miliardi di dollari. A tanto ammonta ogni anno il fatturato realizzato dalla criminalità organizzata ai danni dell’ambiente.
A comunicare questa cifra l’Unep, il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, che nei giorni scorsi a Nairobi ha raccolto circa 1300 partecipanti, tra ministri dell’Ambiente di tutto il mondo, rappresentanti dell’Interpol e funzionari del Palazzo di vetro, oltre a giudici, economisti ed esponenti della società civile di tutto il globo e che ha analizzato la criminalità ambientale tratteggiando un quadro drammatico in merito al traffico illegale legato all’ambiente. I numeri di questo mercato sono stati messi nero su bianco su rapporto “La crisi del crimine ambientale” realizzato da Unep e Interpol.

Solo la deforestazione permette alla criminalità organizzata di incassare tra i 30 ed i 100 miliardi dollari comprendo da solo un quarto del fabbisogno mondiale di legname e cellulosa. Carta, polpa, trucioli di legno, infatti, sono i prodotti più adatti per occultare le provenienze illecite del legname entrando facilmente anche nei mercati di Stati Uniti ed Europa.

Altra voce pesante sul bilancio quello legato allo sfruttamento illegale della flora e della fauna il cui giro d’affari varia tra i 7 e i 23 miliardi di dollari, più o meno come il traffico internazionale di varie specie protette ed in via d’estinzione, senza contare poi il bracconaggio di animali esotici.

Un capitolo a parte è poi quello relativo al commercio illecito di avorio che produce una drastica riduzione degli elefanti, specie nel Continente nero dove ogni anno, viene stimato nel rapporto, vengono uccisi oltre 20mila elefanti, su una popolazione mondiale stimata tra le 240mila e le 650mila unità. La ricerca di questo materiale solo negli ultimi 5 anni ha prodotto una diminuzione del 62% degli elefanti. Situazione simile a quella dei rinoceronti, sempre più ricercati da questi trafficanti senza scrupoli per i loro corni; se nel 2007 si sono registrate 50 uccisioni lo scorso anno questo numero è salito fino a toccare le 1000 unità. Sempre nel 2013 la mattanza non ha risparmiato nemmeno i primati visto che le stime ufficiali denunciano la morte violenta di 643 scimpanzé, 48 bonobo, 98 gorilla e oltre mille oranghi. Da tenere presente poi che i proventi di questi traffici illeciti vengono poi utilizzati per finanziare altre attività illegali di vario genere.

Secondo l’Onu l’avorio rappresenta una delle principali fonti di reddito per le milizie armate operanti nella Repubblica democratica del Congo e la Repubblica Centrafricana, oltre a bande che operano in Sudan, Ciad e Niger.

Importante anche il ruolo del carbone grazie al quale, secondo l’Interpol, milizie e gruppi terroristici delle sole nazioni africane, “possono arrivare a guadagnare dai 111 ai 289 milioni di dollari l’anno dal commercio di carbone”.

La Serbia sempre più verso la Ue

L’avvio del negoziato per l’ingresso della Serbia nella Ue apre nuove opportunità di investimento in un Paese come quello balcanico in ascesa politica ed economica. Nonostante la crisi economica infatti Belgrado continua ad attrarre investitori, anche perché gli accordi commerciali del Paese con la Russia offrono un potenziale mercato di circa 800 milioni di persone.

Per illustrare meglio la situazione si è svolta ieri a Roma la conferenza Serbia: nuove opportunità di business, anche alla luce dell’apertura del negoziato per l’adesione alla Ue” cui hanno partecipato tra gli altri l’ambasciatrice Ana Hrustanovic, l’ex ministro Franco Frattini e l’onorevole Stefano Dambruoso, presidente del gruppo per l’Amicizia tra Italia e Serbia.

In Serbia stanno lavorando sodo per riuscire ad aderire alla Ue in tempi rapidi tanto che anche ieri la rappresentante diplomatica del Paese ha ribadito la volontà di riuscire a chiudere i negoziati entro il 2018 riuscendo così in altri due anni ad essere parte integrante dell’Unione. “E’ un piano ambizioso ma fattibile. Ci daremo da fare. Speriamo di raggiungervi nella famiglia europea quanto prima. Non vogliamo correre, ma fare i nostri compiti a casa. Vogliamo essere parte della soluzione e non parte del problema, come abbiamo dimostrato con l’accordo sulla normalizzazione dei rapporti tra Belgrado e Pristina”, ha detto la Hrustanovic, ribadendo anche in modo quella che la posizione ufficiale nei confronti della questione kosovara ovvero che la Serbia non riconoscerà l’indipendenza unilaterale dalla regione.

Molto positivo in merito all’esito delle trattative anche l’ex ministro degli Esteri Frattini che, da grande conoscitore della realtà balcanica, ha anche sottolineato come, anche in virtù dell’eccellente lavoro svolto dal Premier Vucic e dal ministro degli Esteri Dacic a non lasciare che la questione Kosovo facesse ombra a tutto il resto e bloccasse l’avvicinamento del Paese all’Europa.

Frattini ha anche ribadito la necessità per l’Italia e tutta l’Europa di proseguire i lavori per il gasdotto Southstream in cui il paese balcanico svolge un ruolo di primo piano quale snodo strategico.

L’impegno italiano ad aiutare il vicino adriatico a proseguire nel suo percorso politico è stato ribadito anche da Dambruoso che a nome del comitato di amicizia tra i due paesi ha ribadito la volontà, non solo nel corso di questo semestre di presidenza europea a guida italiana ma fino alla piena adesione. L’esponente di Scelta Civica ha ribadito come “abbiamo sollecitato una rappresentanza parlamentare italiana accompagnasse l’ingresso della Serbia nell’Ue ed è quello che stiamo cercando di fare per varie ragioni, a partire dal ruolo della Serbia nel panorama internazionale, che è destinato a crescere perché il paese riveste un ruolo chiave nei Balcani, nel Mediterraneo e nell’Europa orientale”.

La Serbia appare sempre più centrale per lo sviluppo dell’Europa, anche per via del ruolo che svolge in Adriatico, nei Balcani e nell’Est Europa. Il suo ingresso nella Ue, sempre più vicino, appare un’opportunità imperdibile per tutto il sistema Italia.

Italiani alla conquista del lontano Oriente

Una delle zone dove la diplomazia e la finanza italiana si attivano maggiormente è sicuramente il sud est asiatico, anche perché in questi anni la regione è cresciuta molto,economicamente parlando, ed è diventato un bacino produttivo molto ricercato dei nostri imprenditori.

In primis gli investitori italiani si rivolgono all’India.

Numeri alla mano nell’ultimo triennio le esportazioni italiane verso Nuova Delhi sono cresciute di circa il 10%, grazie soprattutto alla meccanica strumentale, che ha raggiunto un valore di 1,5 miliardi di euro, i metalli ed i mezzi di trasporto. I settori della meccanica strumentale e dei metalli hanno beneficiato dei molteplici progetti infrastrutturali e industriali in cantiere nei prossimi anni, supportati anche da organismi internazionali quali la Banca Mondiale. Con un tasso di crescita medio del Prodotto interno lordo dell’8% negli ultimi 5 anni, nonostante il rallentamento dovuto alla crisi globale, Nuova Delhi si conferma una delle economie emergenti più interessanti per il nostro export.

Negli ultimi anni il nostro export verso la penisola indiana è praticamente quadruplicata passando dal miliardo del 2000 ai 4 degli ultimi anni; anche il valore degli investimenti diretti dall’Italia è lievitato significativamente nel corso dell’ultimo biennio arrivando a muovere circa 15 miliardi di rupie indiane. Numeri che fanno dell’Italia il sesto maggiore investitore in India, e per giunta con un mercato che non è ancora stato del tutto sfruttato dalle nostre imprese, che sono alla continua ricerca di nuove intese economiche con il governo e le imprese locali.

L’assurda vicenda relativa ai due marò italiani, ingiustamente detenuti in India, negli ultimi tempi ha però raffreddato l’interscambi commerciale e messo in crisi alcune nascenti collaborazioni. Fino a due anni fa infatti l’Italia puntava a stringere accordi bilaterali per migliorare sensibilmente quelli già in essere in grado di favorire una nuova e più intensa strategia di cooperazione tra le industrie del settore militare in grado, tra le altre cose, di favorire lo scambio di di tecnologie belliche e difensive, l’intesa, stretta fra l’italiana AgustaWestland, del gruppo Finmeccanica, e l’indiana Tata Sons nel campo degli elicotteri.

Oggi invece è tutto fermo ed anzi da segnalare che se nel 2012 l’India aveva importato armi italiane per circa 100 milioni lo scorso anno lo hanno fatto per appena 600mila euro.

Buoni nel complesso i rapporti commerciali con l’altro gigante della regione, il Giappone, anche se l’Italia da sempre accusa un disavanzo commerciale ormai ampiamente al di sopra dei 4mila miliardi, anche se negli ultimi tempi le nostre esportazioni verso Tokyo e dintorni sono aumentate notevolmente.

Mandiamo in questo lembo di Asia prodotti tessili in primis, quindi articoli chimico-farmaceutici, prodotti alimentari, mezzi di trasporto e macchinarti vari; mentre compriamo dal Giappone soprattutto prodotti tecnologici.

Gli investimenti diretti esteri dell’Italia in Giappone sono inferiori al potenziale e risentono della lontananza geografica, della struttura tipica delle imprese italiane e delle difficoltà oggettive rappresentate dall’operare in un mercato poco aperto, molto competitivo e caratterizzato da elevate barriere culturali e linguistiche. Il Giappone rappresenta infatti il 28° paese di destinazione degli investimenti diretti di imprese italiane, in termini di numerosità, il 39° per numero di addetti ed il 15° per fatturato da esse realizzato.

Attualmente operano in Giappone poco più di 200 imprese italiane che danno lavoro a circa 7000 addetti, con un fatturato che però ha molte difficoltà a raggiungere i 7 miliardi di euro.

Rapporti abbastanza complicati, ma in via di normalizzazione invece quelli del nostro Paese con uno dei capisaldi dell’asse del male, la Corea del Nord.

Messa all’angolo dalla comunità internazionale è proprio Pyongyang che negli ultimi anni ha cercato in tutti i modi di avvicinarsi all’Italia; proprio a tal proposito nel gennaio 2010 il governo coreano ha aperto alla possibilità di riflettere sul contenzioso in corso con la Sace, la società tricolore a partecipazione del ministero dell’Economia che assicura gli investimenti italiani all’estero che, rispetto alle autorità del paese asiatico, vanta un credito di oltre 80 milioni di dollari.

Questo debito nasceva da una fornitura di macchinari effettuata nel lontano 1991 assicurato dalla Sace e su cui fino ad oggi Pyongyang ha sempre eluso ogni discorso; dall’Italia però arrivò un monito al Paese asiatico o questa vicenda avrebbe trovato una qualche soluzione condivisa oppure per le imprese italiane sarebbe stato impensabile andare ad investire in Corea, con ripercussioni non indifferenti sull’economica di Pyongyang.

Dopo un lungo gelo, figlio della guerra fredda e del conseguente clima, le relazioni diplomatiche tra i due Paesi sono riprese, ad un certo livello, solamente con il nuovo millennio e, secondo l’ex ministro degli Esteri Franco Frattini, procedono bene. L’ex numero uno della Farnesina parlando dei rapporti tra i due Paesi anni fa ha infatti detto di guardare con fiducia al futuro delle relazioni tra i due Stati, rinnovando per l’Italia l’impegno a promuovere il dialogo intercoreano ed il conseguimento degli obiettivi di pace e di stabilità non solo nella penisola coreana ma in tutta la regione circostante, non a caso una di quelle che a livello economico si sta dimostrando più dinamica e attraente per gli investitori stranieri.

Pyongyang verso Roma nutre inoltre una sorta di debito di riconoscenza visto che nel 2000 proprio l’Italia fu il primo dei Paesi dell’allora G7 a riallacciare i rapporti diplomatici con la parte settentrionale del 38° parallelo, tanto che ora in Asia considerano questa amicizia fondamentale. Nel corso di questo ultimo decennio l’Italia ha inviato vari aiuti umanitari al governo coreano destinati a contrastare le forti difficoltà alimentari ed economiche, peraltro tornate a manifestarsi di recente, e per i diversi programmi di cooperazione nel settore delle emergenze sanitarie ed in quello culturale.