Finmeccanica, l’Onu e la guerra in Congo
Nuovi affari d’oro per Finmeccanica.
La Selex es, gruppo controllato dal colosso italiano, ha infatti iniziato a consegnare gli aerei senza pilota Falco al Consiglio di sicurezza dell’Onu che li utilizzerà nella missione Monusco, dove da qualche giorno sono già operativi i primi due acquistati dal Palazzo di vetro lo scorso luglio all’interno di un lotto che ne prevede in totale cinque per un incasso da parte del gruppo statale di 50 milioni di euro. Il contratto di vendita è stato stipulato con il Dipartimento delle operazioni di peacekeeping dell’Onu. Dall’inizio del mese infatti questi velivoli operano nella regione del North Kive, al confine con il Ruanda, con lo scopo di monitorare le azioni dei gruppi armati antigovernativi e controllare le popolazioni civili della zona. I restanti tre droni ancora in fase di realizzazione saranno consegnati, rispettando gli accordi presi, entro il febbraio del prossimo anno.
Il mezzo commissionato alla Selex è un aereo comandato a distanza in grado di volare a medie altitudini, con un’autonomia di circa 12 ore e può operare su un raggio d’azione di circa 250 km; rispetto ad altri droni senza pilota presenta inoltre la caratteristica di poter ospitare equipaggiamenti diversi tra cui i nuovi sensori radar ad altissima risoluzione che consentono di individuare, anche di notte, obiettivi sensibili in tempo reale e a distanze notevoli. I primi prototipi di questi aerei risalgono ad una decina di anni fa e sono realizzati a Ronchi dei Legionari nei pressi di Gorizia.
Ufficialmente questi aerei non verranno utilizzati per offendere ma solo per ottenere un “forte effetto deterrente” come ha spiegato Hervé Ladsous, responsabile del Palazzo di vetro per le operazioni di peacekeeping che per la prima volta vedrà all’opera aerei senza pilota.
Già alcuni anni fa l’Onu aveva chiesto l’autorizzazione ad utilizzare droni nella regione africana ma davanti alla ferma opposizione di Ruanda ed Uganda aveva dovuto rinunciare; ora Ladsous ha ottenuto il via libera anche confidando nel fatto che questi consentiranno di avere un quadro più preciso della situazione nella zona.
Per la controllata di Finmeccanica si tratta di una ottima occasione per promuovere sul campo l’utilizzo di questi velivoli che stanno iniziando ad avere un vasto mercato. Il primo paese ad aver acquistato i Falco è stato il Pakistan, a settembre Finmeccanica ha fatto sapere di aver siglato l’accordo con un paese mediorientale, di cui non ha specificato il nome, per la consegna di questi droni-spia per un valore di 40 milioni, dopo che altre trattative erano state intavolate con varie nazioni tra cui Arabia Saudita e Algeria.
Attualmente la Monusco rappresenta la più grande operazione militare dell’Onu, con oltre 20.000 uomini impiegati e, salvo ulteriori prolungamenti comunque molto probabili, vedrà i caschi blu impegnati fino al 31 marzo 2014; oltre a questi operano in Congo anche i soldati della missione Eupol Rd istituita da Bruxelles per sovrintendere alla “formazione” e all’addestramento delle forze di polizia locali; missione già prolungata fino a settembre del prossimo anno.
Nel paese africano è in corso uno dei conflitti più sanguinosi di tutto il continente africano che ha come oggetto del contendere il controllo delle importanti risorse strategiche presenti, e che vede protagonisti una decina di gruppi ribelli, armati e sostenuti dai governi degli Stati confinanti, fin troppo spesso supportati dalle grandi potenze mondiali, in lotta tra loro da circa venti anni.
Secondo le stime dell’Onu questa guerra civile Congo ha già prodotto 2,6 milioni di sfollati e più di mezzo milioni di rifugiati. Tra i 3,5 e i 5 milioni le persone che avrebbero perduto la vita a seguito dei combattimenti, mentre 6,4 milioni di congolesi necessitano urgentemente di cibo e assistenza sanitaria per non morire nei prossimi mesi.
La Coop sei tu. Ora gioca sempre di più
La Coop amplia l’offerta per i propri clienti con le nuove slot machine Fior fiore coop.
Il noto gruppo operante nella grande distribuzione ha infatti lanciato una vasta campagna pubblicitaria sui treni veloci Frecciarossa e nelle grandi stazioni ferroviarie per promuovere le sue slot machine grazie alle quali “si vincono premi e possono giocare tutti i passeggeri, anche i bambini”, sebbene il gioco d’azzardo nel nostro Paese sia vietato ai minori di 18 anni; motivo che ha spinto l’associazione And, azzardo e nuove dipendenze, a chiedere di fermare questa campagna promozionale e rimuovere le slot stesse.
Questa non è la prima volta che l’And si scaglia contro la Coop; era già accaduto nel 2011 quando il gruppo in Piemonte aveva deciso di installare presso i propri punti vendita distributori automatici di Gratta e Vinci. Dopo diversi mesi di segnalazioni e proteste, alla fine tali apparecchiature sono state rimosse.
La questione è stata sollevata da Marco Dotti, del portale no profit No vita, che ha dichiarato, durante un viaggio in treno, di essere stato avvicinato da una hostess che, mostrando un tablet gli ha proposto di giocare con una “slot machine Fior Fiore Coop”, ammiccando che “si vincono premi e possono giocare tutti i passeggeri, anche i bambini”; sceso dal treno notava poi postazioni dedicate di fronte alle quali si accalcano persone in coda per giocare proprio a queste macchinette.
Gli esponenti dell’And ricordano come secondo il dettato dei propri padri fondatori la Cooperativa si ispira all’etica della responsabilità sociale, lavorando a vantaggio di tutti i consumatori e della comunità. E’ inoltre impegnata nella difesa dei diritti e degli interessi di tutti i consumatori nella difesa della salute. Tutti aspetti in netta contraddizione con la nuova campagna in favore del gioco d’azzardo.
Il gioco d’azzardo in Italia sta raggiungendo numeri sempre più allarmanti con ricadute pesanti anche in termini di salute visto che sono in aumento i casi di ludopatia; pensare di poter giocare anche al supermercato non aiuta certo a superare questa situazione.
Stanno cancellando l’idea di Italia
Territorio, lingua ed etnia: questi sono da secoli gli elementi alla base di ogni nazione da quando queste, nell’Europa medioevale, hanno iniziato a prendere forma.
In seguito questi tre elementi sono stati alla base delle rivendicazioni di quelle nazioni che tali non erano, esempio l’Italia pre-risorgimentale o la Germania prima dell’avvento di Bismarck. Proprio la nostra storia patria in questo senso è emblematica: un popolo che da secoli pur parlando la stessa lingua e vivendo nello stesso territorio non era ancora nazione ha cambiato il proprio destino, aiutato in questo anche da agenti esterni che volevano uno Stato abbastanza grande e forte in modo da frenare la Francia e l’impero Austroungarico.
Da alcuni anni però sembra che quegli stessi poteri forti abbiano ora deciso di smantellare la stessa idea di Italia con una azione a tutto campo.
Quello che apparentemente era il concetto meno negoziabile, ovvero l’unità territoriale, è stato il primo ad essere messo in dubbio. Alla fine degli anni ’70 la Fondazione Agnelli, emanazione della famigerata Trilateral, ha iniziato a vagheggiare la fondazione di una unione regionale del nord in grado di competere con le grandi economie del vecchio continente, tutte tesi riprese anni più tardi dalla Lega Nord e dall’assurda idea di divedere la cosiddetta Padania dal resto dell’Italia. Posizione che peraltro ha trovato terreno fertile in un paese come il nostro dove 150 anni e poco più di unità non sono stati sufficienti a cancellare secoli di frazionamento e campanilismo.
Più o meno in contemporanea con l’attacco all’unità nazionale, ma in modo molto più subdolo e subliminale, è arrivato anche quello alla nostra lingua, erede di quella dei latini da cui discendono molti idiomi.
Piano piano l’inglese ha guadagnato terreno in tutti i campi ad iniziare dalla scuola. Negli anni ’80 questa si iniziava a studiare solo alle medie, oggi i bambini ne hanno i primi rudimenti già alla scuola dell’infanzia, il vecchio asilo. Alla primaria, un tempo le elementari, oggi su 31 ore del sistema modulare allo studio dell’italiano in IV e V ne sono dedicate 7 ore, ma solo sulla carta visto che poi chi ha la cattedra di italiano deve impartire anche altre materie e non sempre può interrompere una lezione a metà per passare ad un’altra, mentre allo studio dell’inglese 3, con il risultato che alla fine non impariamo la lingua dei britannici ma non sappiamo più nemmeno usare la nostra.
Per imporre l’inglese a tutta la popolazione, considerando anche l’elevata età media degli italiani, è poi sorta una strana alleanza tra politici e media per sostituire scientificamente l’uso della lingua atlantica alla nostra. La nostra classe dirigente e parte dei giornalisti ci hanno di fatto imposto un Premier, carica con poteri molto diversi da quelli del Presidente del consiglio, ci parlano di spending review, deregulation, exit strategy, devolution, road map ed altro ancora, per non parlare poi di parole di derivazione classica che vengono pronunciate all’inglese, su tutti media che diventa, sulla bocca degli stolti, midia o Nikè, che declassata da divinità greca a marca di abbigliamento sportivo è stata ribattezzata naik.
Da qualche tempo poi è iniziato l’attacco, tutt’altro che mascherato, alla nostra etnia.
Immigrazioni di massa nel nostro paese favorite da più parti hanno infatti aumentato il numero dei non italiani, regolari e non, presenti nella Penisola tanto che è sorto il problema relativo ai figli degli stranieri nati tra i nostri confini. Per il momento vige ancora lo ius sanguinis, ovvero è cittadino italiano chi è figlio di un genitore italiano, posizione però sempre sotto attacco da chi vorrebbe imporre lo ius soli, ovvero l’ottenimento della cittadinanza nascendo nel nostro paese anche se si è figlio di genitori stranieri, regolari o meno poco importa. Per meglio far accettare questa posizione agli italiani da tempo è possibile ottenere la cittadinanza anche solo sposando un nostro connazionale, regola che ha permesso al nostro paese di poter vantare perfino ministri entrati nel nostro paese da clandestini ma diventati italiani a tutti gli effetti, per le legge, sposando un italiano.
Davanti a coppie italiane che non fanno più figli per vari motivi, tra cui la situazione di totale abbandono in cui versa il nostro Stato sociale, gli immigrati hanno famiglie sempre più numerose ed in alcune scuole ci sono sempre più alunni stranieri, emblematica in tal senso la scuola Pisacane di Roma dove il 98% degli alunni sono figli di immigrati.
Un modo per difendere quanto meno l’idea di Italia ci sarebbe e si chiama nazionalismo ma chi da 70 anni ha fatto del nostro paese terra di conquista non ha lasciato nulla al caso ed ha fatto sì che nel nostro Paese l’amor patrio finisse per essere identificato come un qualcosa di sbagliato.
Dal 1943 l’essere nazionalisti è stato identificato con l’essere fascisti, ovvero con un qualcosa di negativo di modo che la maggior parte delle persone si staccasse da questo concetto e si aprisse all’idea di una Patria non più da difendere, cosa che fanno i nazisti, ma da sopportare e cambiare per rendere più in linea con la globalizzazione imperante.
A dar il colpo di grazie alla nostra idea di nazione ha poi contribuito Silvio Berlusconi, in questo vero e proprio utile idiota della globalizzazione e dell’anti italianità. Chiamando il suo partito Forza Italia e facendo dello scontro politico un aut auto, o con me o contro di me, ha fatto sì che questo termine fosse disprezzato da quella parte di sinistra che, orgogliosa dei partigiani, non si era piegata all’internazionalismo rosso ed aveva continuato ad amare l’idea stessa di Italia.
Tutto oggi sembra giocare contro l’Italia ed il destino della nostra patria appare segnato. Se da una parte ciò rappresenta un già visto per la nostra storia ciò che preoccupa è la scomparsa dell’etnia italiana quella che poi con il Risorgimento, pur tra mille limiti e mille condizionamenti, aveva ridato vita a questa patria.
Al loro signori che da migliaia di chilometri di distanza hanno decretato la fine dell’idea di Italia, essendo loro troppo forti per noi, chiediamo solo due cortesie: ci riconoscano almeno l’onore delle armi e se proprio devono porre fine alla nostra civiltà lo facciano lasciandoci la dignità e non facendoci finire in farsa come stanno facendo.
Un vaccino può causare l’autismo. Parola di giudice
Ancora una sentenza contro i vaccini.
Un giudice del Tribunale Civile di Pesaro, Vincenzo Pio Baldi, che aveva già stabilito il nesso tra la vaccinazione esavalente e la morte in culla di una bambina di sei mesi ha pronunciato un’altra sentenza in sintonia con quella. La sentenza dello scorso 11 novembre ha infatti riconosciuto il nesso di causalità tra l’autismo e le vaccinazioni in un adolescente di 16 anni.
Sempre il giudice, nella sua sentenza, ha anche riconosciuto alla famiglia la possibilità di ottenere l’indennizzo previsto dalla legge 210 del ’92, inerente i soggetti che hanno subito danni o complicazioni irreversibili in seguito a vaccinazioni obbligatorie o trasfusioni.
Durante il procedimento il ministero della Salute aveva sollevato il difetto di legittimazione passiva,
sostenendo l’infondatezza della domanda e l’inammissibilità per decorso del termine triennale di decadenza; tutte posizione che il titolare del processo ha respinto condannando il dicastero.
Per il momento si tratta di una sentenza di I grado ed a breve dalla sede di Lungotevere di Ripa dovrebbe impugnare il provvedimento anche se i familiari del ragazzo ed il loro legale confidano nel fatto che difficilmente il dicastero potrà ottenere in futuro un pronunciamento favorevole, anche perché durante il dibattimento sono emersi molti eventi che secondo il giudice hanno provato, anche attraverso la documentazione sanitaria presentata, che lo stato di salute del ragazzo si è via via compromesso in concomitanza con le vaccinazioni eseguite durante la sua vita.
I vaccini ritenuti responsabili del deterioramento delle condizioni di salute del ragazzo risalgono tutti alla fine degli anni ’90, in particolare quella sotto accusa sarebbe avvenuta nel 1998, e non avrebbero a che fare con quello trivalente, ovvero finalizzato a prevenire morbillo, parotite e rosolia, somministrato al ragazzo all’età di 15 mesi.
I genitori del ragazzo si sono rivolti al tribunale dopo essersi accorti che il figlio, pur presentando un normale rispetto fisico in riferimento all’età, accusava, invece, un grave ritardo nello sviluppo cognitivo con evidenti turbe comportamentali; non era in grado di relazionarsi con gli altri e non riusciva a stabilire nessun contatto con l’interlocutore di turno. Il suo unico modo di rapportarsi al mondo esterno era limitato ad una serie di movimenti stereotipati mostrando il totale disinteresse verso tutto e tutti. Nel corso degli anni, ed in seguito alla vaccinazioni, le sue capacità sarebbero andate regredendo visto che a 15 anni non era più in grado di maneggiare nemmeno le posate sebbene avesse imparato ad usarle a due anni.
Sotto accusa ancora una volta la presenza di thimerosal, un composto utilizzato nei vaccini ormai dagli anni ’30 ma da tempo visto in modo negativo, anche se i numerosi studi e le varie ricerche scientifiche condotte negli anni non abbiano rilevato alcuna correlazione tra questa e l’autismo, anche se negli ultimi anni è cresciuto il numero di persone convinte che ci sia una qualche correlazione tra il thimerosal e l’autismo. Su questo tema in passato si sono pronunciati anche l’Oms, l’organizzazione mondiale della sanità, e la Fda, food anche drug administration, che hanno escluso espressamente sulla base dell’evidenza scientifica che questo composto possa avere un qualsivoglia ruolo nell’insorgere dell’autismo o di altri disordini neurologici.
In base alle cartelle cliniche presentate dalla famiglia del ragazzo da una Rmn, radiografia magnetico nucleare, encefalo sarebbe emersa, a causa del thimerosal, la presenza di demielinizzazione, ovvero una diminuzione della guaina mielinica, una molecola con funzioni isolanti alla base della formazione della fibra nervosa. Da qui la decisione del giudice di Pesaro di stabilire un nesso tra la vaccinazione e l’insorgere dell’autismo.
Vietato cambiare la religione dei figli
Spetta ai genitori educare i figli su tutto ma non in tema di credo religioso. Questa in sintesi una recente decisione della Cassazione che ha stabilito che un padre o una madre non possono imporre al figlio, anche se minorenne, di cambiare la propria fede.
La contesa in merito è iniziata dopo che una coppia milanese aveva deciso di separarsi e si era rivolta al Tribunale per i minorenni di Milano che aveva disposto l’affidamento condiviso dei figli ai due genitori, mentre la richiesta di ambo le parti era stata per un affidamento esclusivo. Ad opporsi alla sentenza era stata soprattutto la madre infastidita dal fatto che dopo la fine della convivenza l’uomo aveva aderito ad una nuova religione, nello specifico aveva iniziato a seguire i Testimoni di Geova, ed aveva iniziato a portare le figlie alle riunioni che si svolgono all’interno della Sala del regno, sebbene questa fossero formalmente cattoliche.
Sollecitata dall’appello presentato dalla donna la Corte di Appello, in via provvisoria e urgente, aveva disposto il divieto per il padre di far partecipare le figlie alle riunioni; successivamente, pur confermando la scelta dell’affidamento condiviso, i giudici avevano confermato anche il divieto stabilendo che le madre tenesse con sè le figli durante le principali feste della tradizione cattolica, ovvero il Natale e la Pasqua. I giudici motivarono la loro decisione sostenendo l’impossibilità per le bambine, fino ad allora educate in un contesto religioso cattolico, di praticare una scelta confessionale veramente autonoma.
A quel punto il padre aveva presentato ricorso alla Cassazione sostenendo una violazione del diritto garantito dall’articolo 19 della Costituzione di poter professare liberamente la propria fede religiosa, di farne propaganda e di esercitarne il culto. Gli ermellini respinsero il ricorso adducendo una duplice motivazione. In primis basandosi sulla valutazione, effettuata durante il procedimento giudiziario, dei servizi sociali che soffermandosi sulla giovane età delle due sorelle prevedeva l’impossibilità di effettuare una scelta religiosa realmente libera ed autonoma; secondariamente poiché fino a quel momento le due erano state cresciute secondo i dettami di un’altra confessione religiosa tra le toghe emerse la convinzione che uno stravolgimento del credo religioso avrebbe potuto influire sulla corretta formazione psicologica ed affettiva delle minori. I giudici hanno comunque voluto precisare che nella loro decisione non c’è nessuna compressione del diritto, riconosciuto dalla legge, di professare liberamente la propria fede religiosa per quanto attiene al padre ma solo l’adozione di prescrizioni ritenute idonee a tutelare al meglio le minori e la loro formazione religiosa e spirituale.
Non molto tempo prima i giudici si erano già pronunciati su un caso analogo, ponendo in evidenza già in quel caso che la direttrice da seguire debba essere esclusivamente l’interesse del minore. La Corte di Cassazione con la sentenza 9546 del 2012 aveva disposto l’affidamento esclusivo alla madre del figlio a patto che questa non convertisse il figlio. Nell’occasione infatti era stata la donna dopo la separazione ad iniziare a frequentare i Testimoni di Geova compromettendo, a detta dei giudici, la salute psicofisica del bambino già provato dalla separazione dei genitori.
In quel caso gli ermellini avevano stabilito che il drastico cambiamento di stile di vita per un minore, per giunta in età preadolescenziale, causato dalle scelte di un genitore, può compromettere ansia e conflitti interiori nel bambino. Anche alla base di quella sentenza era stato posto il concetto dell’immaturità del minore interessato non ancora in possesso degli strumenti idonei per assumere, dopo aver vissuto l’infanzia all’interno di un determinato e specifico contesto familiare e sociale, una diversa scelta confessione in modo libero e consapevole e non accettando cambiamenti di questi tipo solo per assecondare uno dei due genitori.