Fabrizio Di Ernesto

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Le leggi elettorali nell’Italia repubblicana

Si fa sempre più acceso il dibattito inerente la riforma della legge elettorale, ogni partito è pronto a proporre le proprie modifiche per modificare quella attualmente in uso, il porcellum entrato in vigore  con le elezioni del 2008; appare quindi opportuno fare un passo indietro e ripercorre la storia delle leggi elettorali nell’Italia repubblicana.

Dopo la II Guerra Mondiale l’Italia il 2 giugno 1946 conosce il suffragio universale per entrambi i sessi in una tornata elettorale che passerà alla storia, gli italiani quel giorno sono infatti chiamati a fare due scelte ben precise: in primis decidere se continuare ad essere amministrati dai Savoia, oppure trasformarsi in un democrazia tramite referendum, secondariamente poi gli elettori dovevano scegliere i 573 componenti dell’Assemblea costituente chiamata a scrivere la Costituzione della nuova Italia secondo il sistema proporzionale; la legge elettorale definitiva sarà perfezionata nel biennio successivo, ricalcando quella usata in questa occasione.

Per quanto riguarda le norme elettorali la Costituzione all’articolo 48 stabilisce che “sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età”, mentre per quanto riguarda la costituzione del nuovo Parlamento l’articolo 55 dispone che questo “si compone della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica”; il seguente articolo sentenzia poi che “la Camera è eletta a suffragio universale e diretto e possono eletti tutti coloro che hanno compiuto 25 anni”, mentre l’elezione del Senato è disposto dall’articolo 57 che determina una differenza tutt’altro che trascurabile stabilendo che questo “è eletto su base regionale”, e possono esservi eletti solo coloro che abbiano compiuto 40 anni. L’articolo 59 invece riprende una peculiarità dello Statuto Albertino e stabilisce che fanno parte dell’Assemblea di Palazzo Madama anche tutti gli ex presidenti della Repubblica e soprattutto che la più alta carica dello Stato “può nominare senatori a vita cinque cittadini che hanno illustrato la patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico artistico e letterari”.

Più nel dettaglio la legge elettorale era così articolata: per la Camera la ripartizione dei seggi tra le circoscrizioni veniva effettuata dividendo il numero degli abitanti dello Stato, per il numero dei deputati da eleggere e distribuendo i seggi in proporzione alla popolazione della circoscrizione; per il Senato come detto l’elezione doveva avvenire per base regionale, almeno 7 per ogni regione, uniche eccezioni il Molise che aveva diritto a due rappresentanti e la Valle d’Aosta, uno solo. Ovviamente le circoscrizioni avevano dimensioni regionali.

Cinque anni dopo si torna al voto per entrambe le Camere, inizialmente l’assemblea di Palazzo Madama sarebbe dovuta durare sei anni ma dopo che per le prime tre elezioni politiche la Camera Alta viene sciolta in anticipo la durata fu equiparata per legge a quella di Montecitorio.

Prima del voto però la Democrazia cristiana, che aveva sfiorato la maggioranza assoluta nella precedente legislatura, decide di forzare la mano e vara quella che, non a caso, passerà alla storia con il nome di “legge truffa” proposta da Mario Scelba.

Nel dettaglio questa norma, composta per altro da un solo articolo, confermava sì il sistema proporzionale ma introduceva il premio di maggioranza che avrebbe garantito il 65 per cento dei seggi di Montecitorio alla lista o gruppo di liste apparentate, purché avessero ottenuto almeno il 50 per cento più uno dei voti.

L’opinione pubblica fu molto scossa di fronte alla legge proposta dalla Dc, tantoché il 20 gennaio dello stesso anno si svolse perfino uno sciopero generale contro questo progetto elettorale ma De Gasperi e il suo partito andarono avanti per la propria strada ed approvano in tempo per le elezioni del 7 giugno la norma. Alle elezioni però la sorpresa: la Dc ed i partiti che si erano apparentati con questa, ovvero Partito socialista democratico italiano, il Partito liberale, il Partito repubblicano, la Sudtiroler volkspartei ed il Partito sardo d’azione si fermarono al 49,8 per cento e per circa 54.000 voti non ottennero la maggioranza sperata.

Scottati da quella esperienza i partiti di governo decisero di cancellare la norma, ufficialmente abrogata il 31 luglio dell’anno successivo e si tornò ad un proporzionale senza premio di maggioranza che resse il sistema Italia fino agli anni ’90 quando il ciclone Manipulite e la vena referendaria di Mariotto Segni non stravolsero tutto.

Come appena detto tutto rimarrà immutato fino all’inizio dell’ultimo decennio del secolo scorso eccezion fatta per quanto riguarda l’elettorato attivo; alle amministrative del 15 giugno 1975 infatti per la prima volta nella storia italiana si recano alle urne i diciottenni, nuova età stabilita dalla legge per esercitare il diritto di voto. Questo allargamento dell’elettorato provocò nell’immediato un vero e proprio terremoto politico con la Dc che perse circa due punti e mezzo scendendo al 35 per cento mentre i grandi rivali del Pci guadagnarono ben 6 punti percentuali arrivando, con il loro 33,45% a tallonare da molto vicino la Balena bianca.

Fra governi sempre più provvisori e legislature via via più brevi nell’estate del ’93, mentre il ciclone “Mani pulite” stava sconvolgendo il panorama politico italiano, fece il suo ingresso una nuova legge per le amministrative che consente agli italiani di scegliere direttamente il primo cittadino con un sistema maggioritario a doppio turno, con il ballottaggio riservato ai due candidati che nel primo turno abbiano ottenuto la due percentuali più alte.

Circa un anno dopo gli italiani fecero conoscenza con la nuova legge elettorale, figlia dei referendum di Segni, che tramite un sistema maggioritario con tanto di recupero proporzionale provò ad introdurre nel Paese un bipolarismo simile a quello in uso nel resto d’Europa.

I referendum, per la cronaca 8 in tutta la tornata, si erano tenuti il 18 aprile del 1993 con l’83 per cento dei partecipanti che votarono in favore della riforma elettorale del Senato che ovviamente comportò anche la modifica per quanto atteneva a Montecitorio.

In base alla nuova legge per quanto riguardava l’elezione per Palazzo Madama, ogni Regione era suddivisa in vari collegi uninominali per un numero pari ai tre quarti dei senatori da eleggere, mentre il restante 25 per cento di seggi veniva distribuito con criterio proporzionale, in gergo metodo Hondt, tra i candidati concorrenti nei collegi uninominali che avessero preventivamente dichiarato il loro collegamento a liste presentate nella circoscrizione regionale; ancora una volta per Molise e Valle d’Aosta le cose erano leggermente diverse visto che le due regioni avevano diritto a tre soli senatori, rispettivamente 2 e 1, tutti eletti con il sistema maggioritario.

Leggermente più semplici le cose per quanto riguardava la Camera. Per Montecitorio infatti l’intero territorio era suddiviso in 26 circoscrizioni elettorali ad ognuna della quali era assegnato un determinato numero di seggi. All’interno di queste si eleggeva con metodo maggioritario il 75% dei deputati mentre il restante 25 veniva eletto con sistema proporzionale tramite una apposita scheda; per partecipare al recupero proporzionale era però necessario aver raggiunto almeno il 4% dei voti validi su base nazionale. Da notare che già con questa legge gli italiani perdono la possibilità di scegliere il proprio candidato visto che i nomi sulla scheda, sia per il maggioritario che per il proporzionale, erano stabiliti dall’alto.

Dopo tre tornate elettorali, 1994, 1996 e 2001, questo sistema elettorale va in pensione sostituito da quello che passerà alla storia con il nome di porcellum, appellativo lanciato dal leghista Roberto Calderoli, lo stesso ministro che aveva scritto la norma.

Il 30/12/2005 diventa infatti legge la nuova legge fortemente voluta da Silvio Berlusconi e dall’allora maggioranza di centrodestra; tramite questa la Casa delle Libertà diede vita ad una complicatissima norma fatta di varie soglie di sbarramento e premio di maggioranza.

Per quanto riguarda il porcellum questo stabilisce sì un ritorno al sistema proporzionale ma senza indicazione della preferenza e l’abolizione dei collegi; i seggi vengono attribuiti alle liste secondo l’ordine stabilito dai partiti.

Previsto il premio di maggioranza; su base nazionale alla Camera, per permettere alla coalizione vincitrice di avere 340 seggi, più quelli eventualmente derivanti dalle circoscrizioni estere; regionale, come stabilito dalla Costituzione, per il Senato. Per quanto proprio questo punto sia quello più contestato va ricordato che l’allora Presidente Ciampi rispedì alle Camera la prima stesura della legge che non teneva conto della necessità di garantire l’elezione di Palazzo Madama su base regionale.

Per quanto riguarda le soglie di sbarramento si tratta di un vero e proprio rompicapo. Per il Senato infatti sono del 20 per cento per le coalizioni e del 3 per le liste aderenti alla coalizione, anche se è previsto un premio di consolazione per la prima lista al di sotto di tale soglia, ma solo nelle Regioni più grandi e all’interno della coalizione vincente; può accedere a Palazzo Madama anche la singola lista non coalizzata, purché raggiunga l’8 per cento.

Per Montecitorio le soglie invece sono del 10 per cento per le coalizioni, del 2, con ripescaggio, per le liste coalizzate e del 4 per le liste che si presentano senza apparentamenti. Prevista poi la possibilità di accedere alla miglior lista, all’interno di una coalizione che non ai arrivata al 2%.

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Venti anni di riforme e controriforme

Riforme. È probabilmente questa la parola più pronunciata negli ultimi anni dalla nostra classe dirigente. Dal 1994 ad oggi infatti tutte le parti politiche, anche quelle più conservatrici, si sono scoperte riformiste invocando rivoluzioni in tutti i campi della vita politica economia e sociale; una voglia di cambiamento che ancora non si è arrestata tanto che da più parti continuano ad essere invocate riforme, nelle ultime settimane si è perfino ventilata la possibilità di aprire una Convenzione in tal senso, segno che la lezione della fallimentare bicamerale della fine degli anni ’90 presieduta da Massimo D’Alema non è stata imparata dai nostri politici. Molte le riforme annunciate in questi due decenni, molte quelle realizzate anche se dopo ogni cambio di maggioranza abbiamo spesso abbiamo assistito alla controriforma, e non poche quelle proposte ma poi naufragate. Ma andiamo con ordine e cerchiamo di ricordare le principali tra le circa 50 riforme varate in appena 5 legislature, di cui due durate un paio d’anni ciascuna. Molte le riforme promesse da Berlusconi e dal suo primo governo anche se alla fine il bilancio è stato quanto misero: abolizione degli esami di riparazione per volontà dell’allora ministro D’Onofrio e Riforma delle pensioni, il cui iter iniziò durante il governo del Cavaliere ma fu portata a termine dal successivo governo Dini; con la nuova norma venivano stabiliti nuovi requisiti d’età e di anzianità. Nella legislatura successiva, quella che vide al potere la sinistra con quattro diversi governi in cinque anni, varie le riforme da citare in diversi settori. La scuola fu al centro dell’attenzione in ogni ordine e grado per mano del ministro Berlinguer che operò con un paio di norme con finalità differenti: la prima stabilì l’innalzamento dell’obbligo scolastico, cambiò l’esame di maturità, che si svolgeva in modalità sperimentale dal 1968, ed introdusse il concetto di autonomia scolastica, una delle norme per cui oggi molti istituti non hanno a disposizione fondi per pagare i supplenti. Venne varata anche una complessa riforma dei cicli scolastici che venne però cancellata nella successiva legislatura dalla nuova maggioranza di centrodestra. Sempre l’ex rettore dell’Università di Siena riformo poi l’università applicando il sistema europeo basato sul cosiddetto 3+2, con una laurea di primo livello che si consegue dopo 3 anni ed una magistrale al termine di un successivo biennio. Sempre in quegli anni arrivò una prima riforma della giustizia che introdusse piccole novità tra cui la possibilità per gli avvocati di svolgere indagini, alcune norme che nelle intenzioni dovevano sveltire i procedimenti e soprattutto rese il primato del contraddittorio, la terzietà del giudice e la ragionevole durata del processo principi costituzionali. Sempre in quegli anni arrivano le prime, ancora timide, liberalizzazioni di Bersani che in seguito diventerà famoso per le sue lenzuolate durante il II governo Prodi; una prima timida riforma del mondo del lavoro con il pacchetto Treu che diede la prima regolamentazione ufficiale al lavoro interinale in Italia; più o meno in contemporanea venne varata la legge Draghi sulle Opa e la scalata alle società quotate in borsa. La più complessa e importante riforma varata dal centrosinistra in quegli anni è però sicuramente quella relativa al Titolo V della Costituzione che di fatto introdusse il federalismo sottraendo competenze esclusive allo Stato centrale ed affidandole alle Regioni; successivamente il centrodestra provò a fare una propria legge sul tema per cambiare la normativa ma gli italiani in un referendum del 2006 bocciarono le proposte di Lega e Casa delle libertà mantenendo in vigore il testo varato durante il II governo Amato. Il riformismo all’italiana ha probabilmente avuto il suo periodo più fecondo tra il 2001 ed il 2006 sotto la maggioranza di centrodestra. Famosa è la legge Biagi in merito al mondo del lavoro che offre una forte flessibilità in entrata e non molte tutele in uscita, che prende il nome dal giuslavorista che lavorò alla testo ma venne ucciso dai brigatisti prima dell’approvazione di questo pacchetto. Venne modificato il fisco tramite una riduzione delle aliquote, vennero abolite le tasse di successione e donazione. Come accennato nel comparto scolastico venne abolita in parte la norma voluta da Berlinguer con la nuova riforma Moratti che agì prevalentemente sulle materie di studio e che nelle superiori introdusse, quanto meno negli istituti professionali, periodi di apprendistato da affiancare a quelli passati in aula, oltre ad una rivisitazione complessiva dell’ultimo ciclo scolastico. Con la legge Bossi-Fini venne rivista la norma in materia di immigrazione, tra le altre riforme principali va sicuramente ricordata quella relativa alla legge elettorale che introdusse il Porcellum attualmente in uso e concesse il diritto di voto agli italiani all’estero. Tra le altre riforme degne di menzione quelle relative al Diritto fallimentare, a quello societario e per gli enti di ricerca. Capitolo a parte invece quello della riforma dell’ordinamento giudiziario fortemente voluto dall’allora guardasigilli Roberto Castelli; questa prevedeva la separazione delle funzioni, una nuova disciplina per la formazione e la selezione dei magistrati, una nuova disciplina, più meritocratica, per l’avanzamento di carriera, una nuova organizzazione delle procure ed un forte decentramento funzionale. Nel 2005 il governo approvò la nuova disciplina ma nel 2006 la maggioranza di centrosinistra abolì la riforma varando quella del nuovo ministro di Giustizia Clemente Mastella, che in pratica riportava la situazione al 2004. Altra riforma tentata fu quella delle pensioni che sarebbe dovuta entrare in vigore nel 2008 ma che un anno prima fu stoppata da una norma voluta da Prodi e dal ministro del Lavoro Damiano che sostanzialmente lasciò la situazione che si era creata con la norma Dini. Nella XV legislatura, durata appena due anni, detto della controriforma Mastella e di quella pensionistica una sola la riforma degna di nota: quella di Bersani sulle liberalizzazioni. Le famose lenzuolate dell’ex segretario Pd stabilirono, tra l’altro, l’abolizione del tariffario per gli ordini professionali, una forte tracciabilità dei pagamenti, e la portabilità gratuità del mutuo da un istituto di credito ad un altro. Per quanto riguarda la scorsa legislatura da menzionare la riforma Brunetta sul Pubblico impiego, l’introduzione del federalismo fiscale, la liberalizzazione dei servizi pubblici locali e una tentata riforma energetica che prevedeva il ritorno al nucleare per fini civili, norma abrogata dagli italiani tramite referendum. Tutte misure nate sotto il IV governo Berlusconi. La più famosa e importante riforma dell’ultimo lustro si è però compiuta sotto il governo Monti per volontà dell’ex ministra Elsa Fornero che accelera il passaggio ad un sistema contributivo pro-rata per tutti i lavoratori, innalzando i requisiti necessari al pensionamento Vent’anni di riforme e controriforme che sembrano non essere abbastanza visto che anche il governo Letta continua ad invocarle.

Lavoriamo sempre meno

Continua il momento negativo per l’economia italiana.

Anche nel primo trimestre di questo travagliato 2013 continuano a diminuire in modo costante ed inesorabile le ore lavorate da ogni singolo dipendente; nell’occasione in termini destagionalizzati si tratta di un cala dello 0,2% rispetto al periodo che va da ottobre a dicembre dello scorso anno.

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Vertice europeo a 4 per il lavoro

Il premier italiano Enrico Letta sembra aver preso molto sul serio il suo incarico e pare quanto mai intenzionato a dare agli italiani l’impressione che lui abbia a cuore le i problemi dei suoi concittadini, in primis quello relativo all’occupazione.

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Gli italiani non comprano più casa

C’era una volta la casa come bene rifugio e come punto fermo nella vita degli italiani, tutti i nuclei ambivano ad averne una di proprietà in cui vivere e per buona parte del ceto medio non era impossibile nemmeno possedere oltre alla principale un’altra abitazione dove trascorrere le vacanze oppure acquistata a mo’ di investimento e poi affittata.

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A maggio si ferma l’inflazione

L’inflazione a maggio ha fatto registra una variazione nulla rispetto al mese precedente e aumenta così dell’1,1% rispetto a dodici mesi prima. Questo quanto emerge dall’analisi dell’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività, il Nic.

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Eurogendfor: la nuova polizia europea

Tra i tanti progetti di cooperazione internazionale cui l’Italia è attualmente impegnata appare opportuno soffermarsi su quello dell’Eurogendfor, ovvero la Forza di gendarmeria europea. Questa è una iniziativa che coinvolge oltre al nostro altri 5 paesi della Ue: Francia, Spagna, Portogallo, Paesi Bassi e Romania, che però ha aderito successivamente a questo progetto.

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Confindustria lancia l’ennesimo allarme

Non si intravede la fine del tunnel di questa crisi economica che sta mettendo in ginocchio l’Italia.

Negli ultimi cinque anni oltre mezzo milioni di lavoratori hanno perso la propria occupazione solo nel settore manifatturiero; a certificarlo è il Centro Studi di Confindustria negli Scenari Industriali, che per rendere il dato ancora più allarmante sottolinea come il dato sia assolutamente provvisorio visto che la difficile congiuntura economica non sembra avere fine.

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Giri di Valzer a Monterotondo

Venerdì 7 maggio alle ore 18.00 presso la libreria XXSmall di Monterotondo, piazza del Popolo 5, presenterò il mio ultimo saggio Giri di Valzer e parlerò di sovranità nazionale.
Accorrete numerosi, vi aspetto

Riforme: si scaldano i motori della politica

18 mesi, questo il tempo che il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha deciso di concedere al governo Letta ed a questo Parlamento per portare a termine le tanto invocate riforme.

Per venerdì è atteso il disegno di legge costituzionale che dovrebbe istituire la famosa commissione e dare il via ai lavori anche se sono ancora molti i punti da chiarire.

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