L’Italia sta fallendo
Mentre la politica continua, a ragione, ad interrogarsi sul futuro dell’Ilva e dell’industria italiana, la grave crisi economica che dal 2009 sta mettendo in ginocchio tutto il mondo continua a mettere sempre più a rischio la tenuta del nostro Paese.
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Riforme è sempre stallo
Dopo la mini tornata elettorale delle amministrative che ha visto il netto successo del centrosinistra, la tenuta del Pdl, cui però perdere Roma la ballottaggio equivarrebbe ad una catastrofe, ed il netto ridimensionato del Movimento 5 stelle che sembra aver concluso la sua spinta propulsiva, la casta è tornata a parlare di riforme.
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L’Ags di Sigonella
La Sicilia è sempre più centrale nella strategia difensiva degli Usa e della Nato.
Mentre a Niscemi è in fase di realizzazione il Muos, mobile user object system, nella vicina base di Sigonella, la più grande base americana nel Vecchio continente è in via di realizzazione il sistema denominato Ags, alliance ground surveillance; questo rappresenta un sofisticato sistema aereo di sorveglianza della superficie terrestre realizzato tramite l’uso di più veivoli, anche senza pilota, che interagiscono con varie stazioni di terra interoperative che analizzano i dati raccolti durante le ricognizioni aeree.
In pratica questo sistema, denominato anche “occhio nel cielo”, funziona tramite una serie di radar altamente sofisticati posizionati sui veivoli utilizzati che pur volando ad alta quota riescono a monitorare il suolo sottostante trasmettendo le informazioni raccolte alle stazioni terrestri cui sono collegati.
A pieno regime grazie all’Ags si potrà arrivare ad identificare le truppe impegnate su ogni lembo di terreno perfino in luoghi impervi o teoricamente inaccessibili studiandone tutti i movimenti. Tra i veivoli scelti per questo compito i Global hawk, aerei privi di pilota capaci di operare ad oltre 20.000 metri d’altezza sia di giorno che di notte, in ogni condizione climatica con una autonomia di molte ore già ampiamente testati in Afghanistan.
Si è iniziato a parlare di questo progetto durante il vertice Nato di Praga del 2002;
tre anni più tardi a Bruxelles l’Alleanza atlantica sottoscrisse un contratto, del valore di 23 milioni di euro, con il consorzio Tips, formato da sei società: Eads, Galileo Avionica, General dynamics Canada, Indra, Northrop grumman e Thales, per sviluppare un progetto di sorveglianza terrestre.
A quel punto iniziò il dibattito relativo alla sede che avrebbe ospitato questo sistema, in pole era la base spagnola di Rota, nei pressi di Cadice poco prima scelta dagli Usa per farne un avamposto delle unità speciali per la lotta al terrorismo.
Le istituzioni italiane a quel punto si sono attivate e nel giugno 2008 l’allora ministro della Difesa Ignazio La Russa, al termine di un incontro bilaterale con l’ex segretario alla Difesa Usa Robert Gates, sollecitava un adeguato sostegno da parte dell’amministrazione americana affinché fosse scelta la base di Sigonella per ospitare il nuovo sistema.
Il 20 gennaio 2009 la scelta diventava effettiva: il sistema Ags avrebbe trovato posto nella base siciliana di Piccola Saigon, come i militari Usa chiamano la località. Ciò ha determinato l’arrivo nel presidio di quattro veivoli Global hawk ed uno Sigint destinato al rilevamento delle onde elettromagnetiche, comprese quelle telefoniche. Le spese per l’acquisto dei droni sono a carico dell’Italia e degli altri paesi interessati, mentre la Nato si occuperà del loro mantenimento e della loro operatività per conto dei 28 alleati, da tenere presente però che ogni singolo stato, anche il nostro quindi, partecipa al bilancio dell’alleanza.
Gli ultimi protocolli che hanno reso il sistema operativo sono stati firmati a maggio dello scorso anno a Chicago durante il summit numero 25 dell’Alleanza atlantica.
Il nuovo sistema Ags sarò disponibile per l’Alleanza in un periodo compreso tra il 2015 e il 2017 e porterà nella base di Sigonella almeno 600 militari in più entro il 2017, anno in cui si prevede che il sistema diventerà pienamente operativo. L’acquisto dei droni e dei sistemi collegati richiederà un investimento “vicino ad un miliardo di euro”, mentre il costo operativo per i prossimi venti anni sarà di poco superiore ai due miliardi di euro secondo le stime ufficiali.
Siamo sempre più precari
Uno degli slogan che il Pci ha agitato per anni in merito al problema occupazionale era “lavorare meno, lavorare tutti”; poi a Botteghe oscure si sono evoluti, sono diventati socialdemocratici, sono arrivati al governo e con il Pacchetto Treu hanno dato vita alla prima precarizzazione selvaggia del lavoro. Ora però la prima parte di quello slogan si è realizzata: gli italiani lavorano sempre meno, anche se a fronte di ciò guadagnano anche di meno.
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Confindustria attacca tutti
In una Italia sempre più in crisi ed ormai con un piede nella recessione ieri Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria (www.confindustria.it) si è lasciato andare ad un duro monito contro gli industriali italiani che nel corso degli anni hanno preferito delocalizzare anziché investire in loco contribuendo a creare però la situazione attuale non mancando in affondi contro la politica.
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In Italia boom di neet
La grave crisi economica che ha colpito l’economia globalizzata e messo in ginocchio l’Italia sta lasciando nel nostro paese un segno profondissimo che rischia sempre di più di avere ripercussioni devastanti in futuro.
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Quarantenni squattrinati e giovani disperati
Il popolo italiano è composto, storicamente da santi, poeti navigatori e mammoni, anche se quest’ultima categoria è salita alla ribalta solo negli ultimi anni e più per necessità che per reale volontà.
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Mes e Patto di stabilità: come l’economia italiana muore a Bruxelles
Da quasi un anno, per la precisione dallo scorso luglio, è in vigore il Meccanismo europeo di stabilità, o patto salva Stati, che, insieme al Trattato di stabilità, o Fiscal compact, inciderà pesantemente sulle scelte di politica economica e fiscale del governo Letta, vale quindi la pena soffermarsi su queste due norme per caprine meglio il funzionamento e il loro peso all’interno dell’Unione europea.
Tutto nasce ufficialmente nel 2009 con la crisi che mette in ginocchio le economie dei cosiddetti Piigs, ovvero Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna. Subito Bruxelles si mette in moto nel tentativo di trovare una soluzione atta ad impedire il crollo della moneta unica e di conseguenza l’economia di tutta la regione. Per fare ciò la Ue inizia ad elargire prestiti esosi tramite degli appositi fondi di salvataggio che hanno via via svuotato di prerogative i parlamenti nazionali.
Il Mes in sostanza è figlio di quei prestiti e rappresenta il sistema utilizzato dalla Ue per far pagare ai cittadini stessi quei fondi di salvataggio.
Tramite questo sistema vengono sì erogati dai prestiti, ovviamente a condizioni molto esose, ai paesi della comunità non più in grado di assolvere ai propri obblighi finanziari.
Spulciando tra i vari commi e cavilli di questo accordo all’articolo 8 si legge che questo nuovo organismo, che comprende i ministri delle Finanze di 17 diversi Paesi, avrà a disposizione un capitale di 700 miliardi di euro; nell’articolo 10 viene invece precisato che il Consiglio dei governatori può decidere di mutare l’importo e di adeguare l’articolo 8 in conseguenza degli avvenuti cambiamenti; all’articolo 9 viene invece disposto che il Consiglio dei governatori possa in qualsivoglia momento esigere del capitale sociale non ancora versato, perfino in meno di una settimana.
E gli eventuali appigli per i paesi che dovessero aver necessità di ricorrere a questi prestiti? Praticamente non previsti visto che non si fa menzione di un possibile diritto di veto da parte dei singoli parlamenti nazionali che vengono così a perdere una delle loro prerogative fondamentali: determinare le entrate e le uscite della propria nazione.
Unica via di uscita sembra essere quella fornita dall’articolo 5.6 in base al quale ogni decisione deve essere approvata all’unanimità da tutti i 17 diversi ministri presenti alle riunioni; difficile ipotizzare che così tante persone riescano ad essere in sintonia e che un ministro possa votate a favore dell’affossamento della propria nazione; ovviamente c’è un ma.
Non è infatti necessario che tutti i 17 siano d’accordo; una decisione può essere valida anche quando i ministri non sono tutti presenti. ogni ministro rappresenta infatti un numero di voti, proporzionale al capitale sottoscritto dal suo paese, quando i due terzi dei ministri che rappresentano i due terzi dei voti totali sono presenti, possono votare validamente, basta che non ci siano nessuno, nemmeno in rappresentanza di un piccolo Stato, che voti contro.
Oltre ai rappresentanti dei 17 stati interessati alle riunioni del Mes saranno presenti anche, con il semplice status di osservatori, il membro della Commissione europea responsabile per gli Affari economici e monetari, il Presidente dell’Eurogruppo ed il Presidente della Banca Centrale Europea.
In contemporanea con il Mes il parlamento italiano ha ratificato anche il Trattato di stabilità sul coordinamento e la governance nell’Unione economia e monetaria che dal 2015 obbliga l’Italia a ridurre in modo costante il rapporto debito/Pil fino al 60%, ciò teoricamente sembra andare incontro alle esigenze della nostra economia non più in grado si sostenere le uscite legate al welfare ma la questione è molto più complessa.
In base a questo accordo il nostro Paese dovrà tagliare per due decenni ogni anno 45 miliardi di debito pubblico, cifra che si andrà a sommare ai 15 miliardi in tre anni che dovranno uscire dalle casse statali per finanziare il Mes.
Questo documento ovviamente traccia la strada per arrivare a questo obiettivo ponendo dei paletti molto rigidi da non oltrepassare pena sanzioni che potrebbero arrivare fino allo 0,1% del Pil.
L’Europa quindi chiede all’Italia nuovi tagli alla spesa e il nuovo governo Letta non si tirerà certo indietro.